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PER NON FINIRE NEL MONDO DEI PIU’

AVVERTENZA AL LETTORE

Il nostro interesse per la maldicenza, come di chi non è stato invitato a pranzo e dà del venduto ai commensali seduti a banchetto, è anche meno che per  l’accusa di scarso spirito repubblicano a quanti nel distribuire le portate dimostrano di sapere stare al mondo e hanno un occhio di riguardo per i fedeli clienti del padrone, i quali vogliono che i loro servizi siano adeguatamente ricompensati. Invece che fare sfoggio di indignazione a buon mercato dinanzi allo spettacolo ammannito quotidianamente da parte dai generosi e geniali  rappresentanti del popolo  che offrono al vasto pubblico, peraltro dalla bocca buona,  spiegate e impacchettate le soluzioni dei suoi problemi, per dimenticare problemi e soluzioni non appena usciti dallo studio televisivo, e quindi ricominciare il giorno dopo con un altro problema e le relative soluzioni, preferiamo guardare lo strano spettacolo con occhio freddo come di chi si trova dinanzi a un illusionista o prestigiatore e non sta al gioco perché sa che da qualche parte ci deve essere un trucco nascosto. Se il rappresentante racconta che la sua missione nella vita è di entrare nella stanza dei bottoni per poter schiacciare soltanto quelli abilitati a far cadere direttamente nella bocca dell’elettore benefici e facilità di ogni genere, come se si trattassero  di caramelle, e quindi accusare i concorrenti di altro partito di essere mascalzoni rifiniti che  alle distribuzioni preferiscono mettere le mani nelle tasche dello stesso elettore per privarlo del suo, il nostro compito è di mettere in guardia il paziente lettore col ricordargli che non sempre alle parole corrispondo i fatti. Ma questa mancanza di puntualità nei rapporti tra comunicazione e fatti,  non  sarebbe in sé pericolosa  perché imputabile a tutte le parole, che sono parole appunto perché non ci si ritiene ancora pronti per i fatti. Più grave infermità dei discorsi umani, e in particolare di quanti vivono e prosperano spargendo chiacchiere, è quello di confondere le idee invece di chiarirle, di trasmettere il falso solo perché è più accattivante del vero e inoltre procura voti mentre a testimoniare il vero si guadagnano soltanto le maledizioni che dovrebbero colpire i responsabili dei fatti imputati. Ecco perché le orecchie aperte e il cervello vigile sono gli atteggiamenti più apprezzati da quanti sanno stare al mondo e conoscono come le parole siano più disposte a nascondere e a mistificatore, che a testimoniare il  vero la cui unicità lo rende persino difficile da afferrare. Ma lo scopo al quale miriamo non è di alimentare un clima di sospetti, perché nessun discorso va accettato senza prima averne esaminato le credenziali, la sua rispondenza all’oggetto dei cui parla, il grado di fiducia che merita colui che lo produce. Questo atteggiamento vigile, critico, dovrebbe essere proprio di ogni uomo e in ogni circostanza della vita; ancor di più, nella vita di società, e di più ancora quando si ascoltano i discorsi di quanti assicurano di essere in possesso, soltanto loro, dell’unica verità storica e dialettica per giunta. Se non scambiare i propri desideri per fatti veri è segno di maturità mentale e di carattere, non confonderli con i fatti possibili o verosimili sta a rappresentare il confine che separa l’uomo calcolatore da quello destinato a finire nelle reti del ragno per colpa delle sue illusioni. A parziale giustificazione degli illusi, andrebbe aggiunto che, senza una buona dose di illusioni, si può fallire a causa della gracilità delle proprie parole, che notoriamente non nascono tutte con la robusta costituzione dei fatti.

 

I VENDITORI DI FUMO

Sovrapporre ai sorrisi delle grandi occasioni sfoggiati dagli uomini di partito nei manifesti elettorali, che a scadenze regolari fanno bella mostra di sé sui muri delle nostre città, non le loro parole ma  la pratica che   vi dovrebbe corrispondere, non significa certo alimentare il sospetto come di chi, scottato una volta, teme persino la vista dalla fiamma. Piuttosto, pensiamo a quanti  non voglia lasciarsi accalappiare da un incantesimo alla portata di ogni venditore e persino dai commessi di negozio. Pensiamo al nostro come di un atteggiamento salutare, perché se le parole sono qualcosa di più dell’aria mossa nel pronunciarle, lo si deve al fatto che ne richiamano molte altre, necessarie del resto per assicurare di avere le spalle protette da qualche pensiero. Se poi invece dello sfoggio di una dentatura smagliante, di un pelle ben curata, di una capigliatura che ben conosce la mano del barbiere, ci  vengono offerti volti pensosi del pubblico bene, sguardi penetranti per i quali non solo la storia passata, ma nemmeno quella futura non hanno più segreti, il nostro atteggiamento a ricercare le pulci non cambia, come ben sanno che trovarsi bene nel presente non costituisce garanzia di avere un futuro. D’altra parte, la psicologia insegna che tenere lo sguardo fisso su un punto è la tecnica migliore per non vederlo e vedere invece le allucinazioni che già si trovano nella testa.

In ogni caso, le immagini acquistano tanto più discredito quanto più si sforzano di esprimere un pensiero che non le appartiene perché appartiene al messaggio verbale dal quale si fanno accompagnare. Con i suoi ammiccamenti, si propone di stabilire un legame con l’osservatore sulla base di una complicità  nemmeno dichiarata, quindi  con un atto di fede sull’evidenza che nessun  messaggio visivo  è in grado di mantenere. Esso non tanto vuole negare il valore della comunicazione verbale quanto aggirarla e arrivare al nocciolo della questione senza però scoprirsi in che cosa consista la questione. E il gioco va tanto avanti che la menzogna gli è tanto più consustanziale dove la sua verità sembra più indiscutibile, garantita dalla presenza della  persona, dai toni della sua voce, dagli accoramenti per l’ostinazione nell’errore dei nemici, dalle esibizioni di certezza sull’onestà nonché la loro genialità degli amici, che la parola viva, fuggente,  può rappresentare meglio di quanto faccia col vero che ha bisogno di prove e non sparisce appena pronunciata.

Perdere l’antica fede nelle magiche virtù delle parole, convincersi del tramonto definitivo del sol dell’avvenire, può alla fine non risultare un male perché significa guardare alle cose di questo mondo senza le confortevoli illusioni di una volta e quindi andare a letto soltanto per riposare e non per lasciarsi cullare dall’idea del dolce che ci aspetterebbe al risveglio.

 

PARLIAMO DEI SOFISTI

Se sia il caso di mettersi ad accusare il destino cinico e baro se il nostro paese è popolato di demagoghi, esperti nelle arti avvocatesche di far sembrare giusto il discorso peggiore e sbagliato quello migliore, ed è così scarso di statisti,è questione che lasciamo ancora ai cortesi  lettori. In quanto a noi, riteniamo che in un paese che trabocca di avvocati e soltanto nella sua capitale, secondo recenti statistiche,  vivrebbero più avvocati che in tutta la Francia, è logico attendersi che invece di fare la fame in attesa di difendere il condomino offeso nei suoi diritti alla quiete notturna o far ottenere  all’automobilista il risarcimento per le lamiere ammaccate della sua auto, ci siano molti appetiti destati dalla possibilità di maneggiare denaro pubblico, soprattutto dove, nell’ansia di beneficiare amici e padroni non si dimentica la propria famiglia.

Non accusiamo il destino nemmeno  se i  padroni della carta stampata comprano schiere di giornalisti per farci scrivere sopra quello che torna loro più comodo o più a loro onore e più scomodo o più a disdoro dei loro nemici. Anche i letterati del giorno per giorno debbono vivere e se sono abbastanza abili e convincenti nel loro mestiere possono sperare di venire adeguatamente ricompensati. Ecco perché non ci stupiamo dinanzi alla retorica untuosa del politico la cui arte di far credere alla gente quello che la gente vuole credere, ha raggiunto, nel clima di chiacchiera permanente ormai installato nel cielo del nostro paese, vertici inimmaginabili altrove.

Il fatto è che il modo migliore per non far capire  le proprie reali intenzioni non è quello di starsene zitti, ma di avere una spiegazione per tutto e il contrario di tutto, lasciando intendere che si è sempre sul pezzo, in completa tenuta di combattimento quando si tratta di risolvere i “problemi della gente”.

Come non risparmia parole, il demagogo è esperto nell’arte di farle stare in piedi appoggiandole non alle cose, come fanno le persone timorose quando si trovano  nuotare nel grande oceano delle opportunità, ma ad altre parole,che è poi arte sopraffina, da paese di lunga civiltà. Predicando la difesa della libertà o della democrazia sostanziale,le cui chiavi si troverebbero nelle imprescrittibili leggi della storia, rivelate soltanto o lui, ha concorso a che si eclissasse il senso della democrazia formale,a tutto vantaggio delle sostanze dei padroni della stampa e del denaro dai quali i lettori sono istruiti sul bene e sul male,sia quello generale che quello loro particolare. Un affare che non sente nemmeno il bisogno di nascondersi ma viene servito tutte le mattine, , nero su bianco, insieme alla colazione.

Per far apparire il discorso peggiore il migliore o quello migliore il peggiore, il demagogo possiede nella sofistica l’attrezzatura tecnica che fa al caso suo. Perché diventa una pura abilità di combinare parole se l’assembramento sotto le finestre del potente di turno da parte di poche persone, forse prezzolate, per inveire contro le sue malefatte diventa  “protesta della gente”, “dei lavoratori”, “dei giovani”, “delle donne”, “dei pensionati”, “degli studenti” e così via, tutte giustamente indignate. Questo sofisma, che consiste nell’elevare qualche scontentezza particolare di pochi o di molti al cielo dell’idee alla moda, dove possono venir risolti in via di ideologia, è parente stretto dell’altro consistente nel trasformare  un problema, che procura un effettivo malessere nella popolazione, nella “trama della reazione in agguato”.

Ma l’armamentario del demagogo non si limita a queste due manovre verbali per far sparire le questioni scomode  e, viceversa, portare al centro dell’attenzione quelle che gli convengono, e i logici procurano istruzioni a come proteggersi da quanti nei loro ragionamenti sostituiscono associazioni psicologiche e connessioni necessarie tra le proposizioni(I. Copi:Introduzione alla logica,1964, Bologna, Cap. III). Un sofisma  dei più notevoli è detto l’argomentum ad populum, preferito dai propagandisti, venditori, pubblicitari, ecc. che consiste  nel far appello alle passioni dell’uditorio ad associazioni di idee favorevoli all’opinione che difende o contrarie a quelle che attacca. Così a un certo uditorio può venir attribuito la degna qualifica di “popolo” oppure la meno degna, o, veramente,  sospetta qualifica di “popolino” a seconda   se si trova dalla nostra parte o da quella dell’avversario. “Quando il propagandista è contrario ad un cambiamento proposto, insinuerà il sospetto che si tratti di <innovazioni alla moda> ,….Se invece egli è favorevole al cambiamento, sarà per il <progresso> e contrario ai <pregiudizi antiquati>”(p.76). Un altro sofisma, che veramente dà da mangiare a molti difensori di qualche causa, è il cos’ detto ignoratio elenchi che consiste  nel sostituire un’affermazione di principio sulla quale non è possibile dissentire a una questione particolare che si definisce in relazione a qualche preciso contesto: “”Per esempio, quando si discute una particolare proposta di legge sulle case, un legislatore può cominciare a parlare  in suo  favore dimostrando che è auspicabile dare una casa a tutti”(p.86).Come dice Copi, in questi sofismi e negli altri dello stesso genere, la connessione tra le premesse e la conclusione non è di tipo logico ma per provocare la persuasione  si affida a quale suggestione psicologica, muovendo le passioni. Il compito dei sofismi non è di illuminare le menti dissipando  le confusioni che vi suscitano le passioni, e nemmeno di confonderle ancora di più, che sarebbe diabolico, ma di servire al bisogno tutto umano di conquistare qualche vantaggio, come vedremo subito.

 

 

 

I COSTI DELLA POLITICA

Il 2° Rapporto UIL sui costi della politica del luglio 2012, offre un quadro abbastanza completo e attendibile dei costi diretti e indiretti della partitocrazia, ossia, della quota di  ricchezza nazionale di cui i partiti, in un modo o nell’altro, si appropriano e che potrebbe venir impiegata per scopi sociali o produttivi.

Secondo l’ultima inchiesta di questa organizzazione sindacale, oltre 1,1 milioni di persone in Italia vivono direttamente o indirettamente di politica, con una spesa annuale di 23,1 miliardi di euro. Come visto sopra, di queste, 144.000 occupano il loro posto per mandato elettorale, come ministro, parlamentare, consigliere o assessore nelle giunte regionali, provinciali e comunali. Ad essi vanno aggiunti 24. 000 consiglieri di amministrazione delle 6978 società partecipate, con un costo complessivo di 2,6 miliardi di euro l’anno, nonché un esercito di consulenti, perché si deve supporre che consiglieri e politici siano dei perfetti ignoranti nelle questioni amministrative, che comportano una spesa di circa 3 miliardi di euro

La UIL ipotizza che riportando i costi della politica al suo livello fisiologico, si possa realizzare un risparmio di circa 10,4 miliardi di euro l’anno.

Un quadro più completo della pletora di faccendieri che gravitano attorno alla politica, si dovrebbe dire attorno al bilancio pubblico, è riportato nella tabella sottostante.

 

NUMERO DI PERSONE IN POLITICA ENTE PER ENTE(elaborazione UIL)

NUMERO

ENTI

 

Parlamento e governo 1067
Province 3857
Comuni 137.936
CDA aziende pubbliche 24.432
Collegi revisori, collegi sindacali PA e aziende pubbliche 44.165
Personale di supporto politico 38.120
Apparato politico 390.620
Incarichi e consulenze PA e aziende pubbliche 487.949
Totale 1.128.722

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL MODERNO CHE AVANZA

Per farsi un’idea di come nei nostri parlamentari le preoccupazioni per il proprio reddito siano cresciute nel tempo, può tornare  utile confrontare la situazione dei primi anni di vita repubblicana con quelli dei parlamentari di oggi.

Nel primo parlamento nazionale, quello cui sedevano gentucola some Croce, Einaudi, De Gasperi, La Malfa, gli emolumenti comprendevano un’indennità mensile di 65 mila lire, più una diaria di cinquemila lire per ogni giorno di seduta come rimborso spese, in tutto circa 150 mila lire al mese, equivalenti a circa cinque volte il salario medio di un operaio o impiegato. Oggi, il parlamentare gode di indennità mensile di  12.000 euro, più una diaria pure mensile di 4000 euro, che insieme corrispondono a circa 12 stipendi medi (C.Salvi, M.Villone, I costi della democrazia, 2005, pp. 35-6). Senza contare rimborsi spese e agevolazioni varie e senza che la qualità media sia migliorata o la produttività aumentata.

 

LE GIOIE DEL POTERE

A riprova della sollecitudine e sistematicità con le quali molti politici,dimenticate le fatiche e le promesse della campagna elettorale,sanno provvedere alle proprie fortune, basta citare alcuni altri dati, riferibili questa volta alle istituzioni regionali. Il reddito medio pro capite nelle regioni più ricche d’Italia (Trentino Alto Adige, Lombardia,ecc.) è circa il doppio rispetto a quello delle regioni più povere (Calabria, Sicilia)(32.000 euro nelle prime contro 16.000 delle seconde). Di contro, forse a ricompensa delle fatiche spese per amministrare territori in condizioni così disastrate,i consiglieri regionali siciliani hanno ritenuto di aver diritto a un’indennità mensile di 12.434,più una diaria di 4.033 euro, che naturalmente si sono subito assegnati,ben superiori agli emolumenti dei consiglieri lombardi (8.082 e 2.602 euro rispettivamente) (C.Salvi e M.Villone,cit., p.40). Nello stesso tempo,il presidente della regione siciliana ritiene di aver bisogno dei servigi di 23 addetti stampa i quali,a differenza dei 20.000 forestali che si prendono cura di foreste che non ci sono, ma tengono famiglia e vanno regolarmente pagati,si affaticano a ritagliare gli articoli di giornali,a riunirli in raccoglitori e a trasportare questi ultimi da una stanza all’altra.  Si potrebbe continuare rivelando come gli eletti nei consigli provinciali, comunali e circoscrizionali, i consulenti vari,abbiano saputo provvedere ai propri affari,senza dimenticare quelli di amici, parenti e i galoppini elettorali,adeguatamente ricompensati. Il loro esemplare attaccamento alla famiglia e agli amici, dei quali provvedono ad incrementare i cespiti,è dimostrato anche dall’interesse col quale tengono d’occhio le svendite degli appartamenti di lusso da parte degli enti pubblici. Senza dimenticare i tempi grami e la vecchiaia che, si sa, è un  tempo gramo da sé.

Confessiamo di provare una certa invidia nei confronti di chi ha saputo provveder così bene a se stesso e senza dover affrontare gli incerti di una libera professione, dell’industria o del commercio, ma  predicando a destra e a manca di pensare soltanto al “bene della gente”, ossia, proprio quello che la gente vuole sentirsi dire.

 

 

COME TI ERUDISCO IL PUPO

Vogliamo partire col nostro notiziario sulla partitocrazia(termine coniato dal giurista Giuseppe Maranini nel 1949)da alcuni dati grezzi, ma non per questo meno significativi. A guardar bene, nella loro semplicità essi lasciano trasparire, come attraverso un prisma ottico, tutta la potenza devastante di una distorsione della vita economica, sociale e politica del nostro paese per lungo tempo scambiata per condizione di normalità.

Secondo l’Ocse, l’Italia occupa il penultimo posto, tra i paesi che fanno parte di questa organizzazione, per la quota di PIL dedicata alla scuola,il 4,5 % contro il 6 % medio degli altri paesi(dati 2009). In compenso,per la statistica riportata nella tabella sottostante, il numero degli eletti alle cariche pubbliche, regolarmente stipendiati,con i soliti familiari e amici a carico, si aggira intorno a 144.000,circa la somma di tutti gli eletti in tre paese Spagna, Francia e Germania messi insieme. Senza contare l’esercito,anche più numeroso e combattivo di quello dei politici,dei consulenti e degli amministratori pubblici di nomina politica, spesso uomini di partito trombati in qualche turno elettorale,  pure loro con famiglia a seguito con giuste esigenze famigliari a soddisfare.

 

 

 

DETTAGLIANTI E GROSSISTI DELLA POLITICA

”Bisogna in specie sfatare il luogo comune tutto italiano,secondo il quale ci sarebbe un rapporto causale tra partiti forti e corruzione politica. La corruzione si diffuse invece quando i partiti smarrirono la funzione essenziale di concorrere con metodo democratico alla vita politica nazionale,…,e divennero partitocrazia,cioè occupazione del potere. Partiti forti nell’occupare il potere  ma deboli nella loro intima funzione sociale,nella partecipazione popolare,nel consenso profondo” (C. Salvi, M. Villone, cit., p.19). I partiti  deboli diventano preda dei propri boiardi che controllano pacchetti di voti, senza trascurare i poteri economici in grado di trasformare questa debolezza in opportunità da far fruttare a proprio vantaggio. I partiti senza politica, seguendo la loro logica intrinseca, hanno cercato il potere senza badare ai mezzi. Così la partecipazione popolare è stata sostituita dalla ricerca del consenso elettorale senza lesinare in promesse che si sa di non poter mantenere. I partiti senza cultura politica e senza intima adesione popolare hanno fatto ricorso a tecniche di persuasione mutuate dalla pubblicità commerciale, soprattutto a quelle televisive oppure, in modo più riservato, a ricerca del consenso in cambio di favori. Sono nati i partiti personali, le organizzazioni volte a procacciarsi pacchetti di voti con ogni mezzo e da vendere poi al miglior offerente. Questa ci sembra la spiegazione della pletora di liste che ad ogni tornata elettorale troviamo sulle schede, sempre più larghe rispetto alla tornata precedente. Dalla partitocrazia classica degli anni antecedenti l’89, con i suoi partiti compattati dalle ideologie, con i suoi comizi affollati, con le sue parole d’ordine pronte a far scattare il riflesso condizionato dell’applauso e del fischio, si è passati ai partiti cosche che difendono soltanto gli interessi privati del proprio personale dirigente e dei rispettivi portaborse.

 

 

CONCLUSIONI PROVVISORIE

La casta di G.A.Stella e S.Rizzo,il libro di Salvi e Villone su I costi della democrazia,spiegano La Deriva,pure di Stella e Rizzo proprio come quest’ultimo spiega i primi due. La ricerca dei privilegi da parte del personale partitico non si risolve soltanto in un consumo di risorse prodotte col lavoro di tutti ma, il che è ancora peggio,distorce l’azione politica e l’allontana dai suoi specifici compiti,tra i quali possiamo mettere quello di tenere le città pulite dai rifiuti e le strade senza tante buche,nonché assicurare gli ausili ottimali a malati, infanti,puerpere e senescenti, ridurre il numero delle casalinghe scippate del borsellino agli incroci delle strade. Né è da sperare che la politica si riformi da sé, visti i vantaggi che i politicanti ricavano dalla presente situazione.