Archivi categoria: partitocrazia

LE RAGIONI DI UN FORUM DEGLI ITALIANI

Le potenze finanziarie e partitiche che controllano l’informazione usano fare un gran rumore attorno a quelle notizie che tornano loro comodo farci conoscere, talché ben pochi di quegli altri fatti che le vede come protagoniste riescono a filtrare il velo di silenzio che le nasconde alla vista del normale cittadino che ne è nel contempo anche vittima. Non discutiamo qui delle tecniche più in voga messe in atto per dare ad ogni notizia la colorazione desiderata, la capacità di  colpire il lettore nell’organo prescelto, quale la paura di perdere il suo o la speranza di acquistare dell’altro.  Serviti  da stuoli di fabbricanti di frasi a pagamento, nella loro costruzione di reti per catturare gli speranzosi pesci  desiderosi soltanto di veder confermate le ragioni dei loro amori o delle loro avversioni, trasformano notizie, che in un mondo normale sarebbero puri fatti di cronaca, in eventi cataclismatici o salvifici, e, da parte opposta, assottigliano le loro imprese che seminano lutti e rovine sino al punto da renderle trasparenti sino all’invisibilità. Il lettore frettoloso  che tutte le mattine vuole sapere se il mondo nel quale  la sera precedente è andato a letto si trova ancora al solito posto, quindi incapace di accorgersi della manovra ordita alle sue spalle, sarà persino grato al suo giornale perché gli racconta con dovizie di particolari l’ultimo episodio scandaloso che ha avuto come protagonista qualche nemico del padrone che paga le spese della carta e dei giornalisti che vi scrivono sopra. Se poi  la manovra mimetica non sortisce gli effetti voluti, c’è sempre quella diversiva, che consiste nel fare dell’ultima impresa amorosa dell’attricetta famosa per esibire i suoi glutei rosei ad ogni occasione un avvenimento del quale è obbligatorio esser informati. Mentre di fronte a tutto questo dichiariamo di non voler gridare allo scandalo ma che, al contrario, lo consideriamo conforme all’ordinario corso delle cose, nel senso di così va il mondo, dichiariamo pure la nostra diffidenza, che confina con l’indipendenza, nei confronti dei  creatori della pubblica  opinione, o, almeno, di quella più alla mano della quale si può parlare al bar o in tram con la speranza di venir compresi .

Esiste infatti un’altra via   per immettersi nelle correnti dove circola lo spirito del mondo, più scorrevole rispetto alla carta stampata. La via di grande traffico delle informazioni, quindi delle verità destinate a durare alcuni secondi, è in funzione in tutte le ore del giorno e della notte, alimentata da quanti vogliono venderci quacosa, dalle notizie del giorno alle verità del secolo, preoccupati di salvare  l’anima di gradi e piccoli. La nuova via non ha le rugosità della carta stampata, con le sue parole pronte a ingoiare il lettore nei secondi sensi ma, scorrevole come la chiacchiera degli imbonitori, fa muovere il lettore in circolo da un’idea fatta all’altra, sistema sublime  per fargli credere che il mondo per lui non ha più segreti, evitando il ricorso alle iniziative personali che non si sa mai come finiscono, quando è più riposante giudicare usando la testa degli altri.

Questo problema del giudicare è molto importante, e noi siamo tra quelli che non lo  prendono  sottogamba, ma, al contrario, lo reputiamo decisivo per quanti non solo vogliono vedere con i propri occhi ma coltivano pure l’ardire di  giudicare con la propria testa, pretesa sempre inquietante per quanti invece coltivano l’arte di dispensare consigli non richiesti.

La comunicazione, che abbiamo visto come fattore alla base del legame sociale, è motivata  dall’interesse comune a scambiare opinioni e informazioni in vista di una chiarificazione reciproca o di una migliorata conoscenza delle  cose. Da qui l’apprezzamento per lo scambio, la richiesta di chiarimenti, l’obiezione,  invece che per  l’l’imbecca, le informazioni che viaggiano in un solo senso, i giudizi preconfezionati nelle catene di montaggio dell’opinione pubblica ai quali non è possibile aggiungere o togliere niente.

Giudicare infatti non può risolversi in una faccenda privata, perché usa il mezzo sociale per eccellenza del linguaggio. D’altra parte, non si può dire che per esprimere un proprio pensiero occorra aspettare di sapere che cosa ne pensa il mondo, o coloro che si dicono suoi padroni. Nel giudicare, il soggetto ha davanti un’esperienza che è  sua e di nessun altro e il suo giudizio raggiungerà l’oggetto al quale è diretto se trova il punto di convergenza tra il non detto delle sue percezioni, e persino l’indicibile, e il troppo detto del quale si alimenta l’opinione pubblica, un’impresa che rende onore alla filosofia come all’arte che se ne occupano. Il giudizio si rivolge al mondo e a noi stessi e si attende di venir giudicato a sua volta dal mondo e dalle persone.  Per questa sua ambivalenza, possiamo dire che si trova nel punto in cui  individuo e società s’incontrano, si riconoscono  e si determinano nelle reciproche caratteristiche. La conclusione da trarre da tutto questo  è che  l’opinione pubblica non costituisce qualcosa di astratto, che riguarda soltanto alcuni poteri che si caricano del fardello di informare e istruire gli ignoranti, ma si forma insieme con quella personale, così come questa cresce con la prima della quale rappresenta il momento molecolare.

Nella comunicazione, sequenza di scambi e di mediazioni, il soggetto giunge a conoscere meglio tanto se stesso che la società e il mondo. Una migliorata conoscenza delle condizioni del mondo e la chiarificazione degli intenti, propri e degli altri, sono fatti per  condizionarsi  a vicenda e si realizzano con l’istituzione di relazioni di natura sociale, comprese quelle relazioni finalizzate allo scambio di valori economici o, per essere più precisi, quegli impegni e patti sui quali si sostiene la vita materiale di tutti, si realizzano organizzazioni finalizzate a qualche scopo comune e si giunge a quelle determinazioni all’origine dei fatti a produrre i quali sono istituite.

 

Bibliografia

G.Mounin: Guida alla linguistica, Feltrinelli, 1982

G.Mounin: Guida alla semantica, Feltrinelli, 1983

G.Calogero:Le regole della democrazia e le ragioni del socialismo, 2012.

 

 

TALENT SCOUT E PROPAGANDISTI

Il corvo, appollaiato sull’alto ramo, col pezzo di formaggio ben stretto nel becco, si riteneva al sicuro dalle astute volpi, sempre alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, almeno così succedeva nel mondo antico di La Fontaine. Siamo tra animali per i quali il carattere conta molto. Invece storici più aggiornati danno altre versioni dell’accaduto, dove al carattere non si dà l’importanza che invece viene data alle tecniche di persuasione che appunto hanno lo scopo di ridurre la prese del carattere sulle decisioni. In questioni così importanti che riguardano il formaggio, una maggiore precisione nella descrizione dell’accaduto è altamente desiderabile e perciò è quanto ci accingiamo a fare.
Infatti, alcuni storici offrono precisazioni essenziali per una maggiore chiarezza degli eventi e non mancano di riportare la circostanza che si trattava di una volpe dal pelame azzurro, la quale si mise a ricordare al corvo, qualora per troppa modestia ignorasse i doni ricevuti dal cielo, la bella figura slanciata, il piumaggio di un nero scintillante, la voce suadente adatta ad incantare le folle in adorazione e per di più paganti. E se c’è un peccato al mondo, esso consiste nel non valorizzare il tesoro ricevuto dalla natura, di restarsene nascosto tra i rami del bosco, mentre il suo posto è al centro della scena, possibilmente in uno studio televisivo, dove le doti di incantatore, sotto il lampeggiare dei flash e con accompagnamento di esclamazioni delle ammiratrici, potrebbero risaltare in pieno. Per uno straordinario colpo di fortuna(la sua), uno scopritore di talenti ben relazionato si trova a passare da quelle parti, per nulla disturbato dall’odore del formaggio, pronto a prendersi a cuore il caso. Non deve nemmeno faticare per imparare la difficile arte di intrattenitore, perché oggi le giovani promesse possiedono un’intelligenza superiore e hanno succhiato col latte materno, e magari dormendo sino ad ora tarda, i segreti di tutte le arti. Non deve fare altro che dare prova delle sue doti, senza scomodarsi di andare in uno studio televisivo perché chi è disposto ad accordargli un’audizione è venuto a trovarlo a domicilio. E si sbrighi a mettere in mostra le sue eccezionali doti vocali prima che l’indignazione di fronte alla rara perla lasciata nell’oscurità del bosco, non impazientisca il critico di passaggio. Se non fosse per il suo sincero interesse verso l’arte e la valorizzazione dei giovani talenti, uno come lui se ne potrebbe stare in vacanza e non andare in giro tra rovi e sassi. Perciò non cessa di moltiplicare gli sforzi perché le persone meritevoli abbiano i giusti riconoscimenti nella vita e le fantasie represse non si sfoghino soltanto nei sogni privati, dove non penetra alcuna luce e gli unici applausi che si ricevono sono quelli che ciascuno dispensa a se stesso.
Alla fine, quando la vittima non resiste più a tenere il becco stretto e vuole offrire un saggio delle sue doti, confessa nello stesso tempo la sua dabbenaggine e l’ignoranza circa le cose del mondo.
Gli storici che fanno della volpe un talent scout dal pelo azzurro alla ricerca di giovani promesse da lanciare sulla scena televisiva sono contraddetti da altri che la dipingono come un propagandista dal rosso pelo che invece di vendere lusinghe alle persone incontrate per caso, indossate le divise solenni appropriate ai commessi del supermercato della storia, si sono dedicate al commercio all’ingrosso per la maggiore felicità delle masse. Talché la volpe dal rosso mantello invece di ricordare al corvo i doveri verso la sua reazionaria felicità personale l’avrebbe messo di fronte ai suoi obblighi nei confronti della rivoluzionaria felicità del genere umano, nessuno escluso.
E infatti come si può essere tanto egoisti, starsene a rosicchiare su un alto ramo il proprio pezzo di formaggio, di fronte alle sofferenze di tanta gente che patisce la fame? Una simile indifferenza non è soltanto prova di chiusura borghese, della borghese incapacità di relazionarsi con gli altri, perché è anche la dimostrazione lampante di incapacità a saper pensare o, che è la stessa cosa, di pensare con lo stomaco. Senza contare poi che l’indifferenza per la felicità delle masse è il segno più sicuro dell’appartenenza a una classe in declino, o addirittura votata alla sparizione in quanto ha esaurito la sua funzione storica, ma per fortuna c’è lui che, forte di una superiore scienza, può riportalo sulla retta via mettendo la sua personale sordidezza a carico della sua classe.
A questo punto, gli storici narrano come il corvo, nel tentativo di replicare al propagandista di passaggio, lasciasse cadere il pezzo di formaggio, afferrata al volo dalla volpe, che fu anche presto a sparire dalla vista.
In entrambe le versioni, l’errore del corvo fu quello di non dare il giusto peso al contesto e a tutte le altre circostanze di luogo, persona, tempo e simili, di lasciarsi incantare dalle parole, un errore in cui cadono le vittime dei venditori della felicità nel presente, e ancora di più facilmente gli ascoltatori dei venditori della felicità futura, questa universale di contro all’altra privata.
Se il talent scout promette miracoli di felicità personale, il propagandista fa lo stesso col mondo in blocco, e, dove la dimostrazione dovesse apparire debole, provvede a rinforzare le sue ragioni con l’uso di altoparlanti. Si tratta di ragionatori dalla voce grossa, esperti nell’arte di parlare a molti senza parlare a nessuno, produttori di eventi sulla pubblica piazza,che è come dire sotto gli occhi della storia.
Ma alla fine il propagandista, raddrizzatore di torti all’ingrosso in nome della scienza o della storia, e il talent scout, anticipatore di successi e felicità per i solitari corvi della campagna con un pezzo di formaggio in bocca, sono accomunati dalla convinzione che il vero toccasana di tutti i mali si trova nell’alleanza col finanziere divoratore di formaggio, il quale ha pure l’utile dote di starsene nascosto dietro le quinte, che è il posto preferito dai registi degli spettacoli che tanto attirano le masse.

PER NON FINIRE NEL MONDO DEI PIU’

AVVERTENZA AL LETTORE

Il nostro interesse per la maldicenza, come di chi non è stato invitato a pranzo e dà del venduto ai commensali seduti a banchetto, è anche meno che per  l’accusa di scarso spirito repubblicano a quanti nel distribuire le portate dimostrano di sapere stare al mondo e hanno un occhio di riguardo per i fedeli clienti del padrone, i quali vogliono che i loro servizi siano adeguatamente ricompensati. Invece che fare sfoggio di indignazione a buon mercato dinanzi allo spettacolo ammannito quotidianamente da parte dai generosi e geniali  rappresentanti del popolo  che offrono al vasto pubblico, peraltro dalla bocca buona,  spiegate e impacchettate le soluzioni dei suoi problemi, per dimenticare problemi e soluzioni non appena usciti dallo studio televisivo, e quindi ricominciare il giorno dopo con un altro problema e le relative soluzioni, preferiamo guardare lo strano spettacolo con occhio freddo come di chi si trova dinanzi a un illusionista o prestigiatore e non sta al gioco perché sa che da qualche parte ci deve essere un trucco nascosto. Se il rappresentante racconta che la sua missione nella vita è di entrare nella stanza dei bottoni per poter schiacciare soltanto quelli abilitati a far cadere direttamente nella bocca dell’elettore benefici e facilità di ogni genere, come se si trattassero  di caramelle, e quindi accusare i concorrenti di altro partito di essere mascalzoni rifiniti che  alle distribuzioni preferiscono mettere le mani nelle tasche dello stesso elettore per privarlo del suo, il nostro compito è di mettere in guardia il paziente lettore col ricordargli che non sempre alle parole corrispondo i fatti. Ma questa mancanza di puntualità nei rapporti tra comunicazione e fatti,  non  sarebbe in sé pericolosa  perché imputabile a tutte le parole, che sono parole appunto perché non ci si ritiene ancora pronti per i fatti. Più grave infermità dei discorsi umani, e in particolare di quanti vivono e prosperano spargendo chiacchiere, è quello di confondere le idee invece di chiarirle, di trasmettere il falso solo perché è più accattivante del vero e inoltre procura voti mentre a testimoniare il vero si guadagnano soltanto le maledizioni che dovrebbero colpire i responsabili dei fatti imputati. Ecco perché le orecchie aperte e il cervello vigile sono gli atteggiamenti più apprezzati da quanti sanno stare al mondo e conoscono come le parole siano più disposte a nascondere e a mistificatore, che a testimoniare il  vero la cui unicità lo rende persino difficile da afferrare. Ma lo scopo al quale miriamo non è di alimentare un clima di sospetti, perché nessun discorso va accettato senza prima averne esaminato le credenziali, la sua rispondenza all’oggetto dei cui parla, il grado di fiducia che merita colui che lo produce. Questo atteggiamento vigile, critico, dovrebbe essere proprio di ogni uomo e in ogni circostanza della vita; ancor di più, nella vita di società, e di più ancora quando si ascoltano i discorsi di quanti assicurano di essere in possesso, soltanto loro, dell’unica verità storica e dialettica per giunta. Se non scambiare i propri desideri per fatti veri è segno di maturità mentale e di carattere, non confonderli con i fatti possibili o verosimili sta a rappresentare il confine che separa l’uomo calcolatore da quello destinato a finire nelle reti del ragno per colpa delle sue illusioni. A parziale giustificazione degli illusi, andrebbe aggiunto che, senza una buona dose di illusioni, si può fallire a causa della gracilità delle proprie parole, che notoriamente non nascono tutte con la robusta costituzione dei fatti.

 

I VENDITORI DI FUMO

Sovrapporre ai sorrisi delle grandi occasioni sfoggiati dagli uomini di partito nei manifesti elettorali, che a scadenze regolari fanno bella mostra di sé sui muri delle nostre città, non le loro parole ma  la pratica che   vi dovrebbe corrispondere, non significa certo alimentare il sospetto come di chi, scottato una volta, teme persino la vista dalla fiamma. Piuttosto, pensiamo a quanti  non voglia lasciarsi accalappiare da un incantesimo alla portata di ogni venditore e persino dai commessi di negozio. Pensiamo al nostro come di un atteggiamento salutare, perché se le parole sono qualcosa di più dell’aria mossa nel pronunciarle, lo si deve al fatto che ne richiamano molte altre, necessarie del resto per assicurare di avere le spalle protette da qualche pensiero. Se poi invece dello sfoggio di una dentatura smagliante, di un pelle ben curata, di una capigliatura che ben conosce la mano del barbiere, ci  vengono offerti volti pensosi del pubblico bene, sguardi penetranti per i quali non solo la storia passata, ma nemmeno quella futura non hanno più segreti, il nostro atteggiamento a ricercare le pulci non cambia, come ben sanno che trovarsi bene nel presente non costituisce garanzia di avere un futuro. D’altra parte, la psicologia insegna che tenere lo sguardo fisso su un punto è la tecnica migliore per non vederlo e vedere invece le allucinazioni che già si trovano nella testa.

In ogni caso, le immagini acquistano tanto più discredito quanto più si sforzano di esprimere un pensiero che non le appartiene perché appartiene al messaggio verbale dal quale si fanno accompagnare. Con i suoi ammiccamenti, si propone di stabilire un legame con l’osservatore sulla base di una complicità  nemmeno dichiarata, quindi  con un atto di fede sull’evidenza che nessun  messaggio visivo  è in grado di mantenere. Esso non tanto vuole negare il valore della comunicazione verbale quanto aggirarla e arrivare al nocciolo della questione senza però scoprirsi in che cosa consista la questione. E il gioco va tanto avanti che la menzogna gli è tanto più consustanziale dove la sua verità sembra più indiscutibile, garantita dalla presenza della  persona, dai toni della sua voce, dagli accoramenti per l’ostinazione nell’errore dei nemici, dalle esibizioni di certezza sull’onestà nonché la loro genialità degli amici, che la parola viva, fuggente,  può rappresentare meglio di quanto faccia col vero che ha bisogno di prove e non sparisce appena pronunciata.

Perdere l’antica fede nelle magiche virtù delle parole, convincersi del tramonto definitivo del sol dell’avvenire, può alla fine non risultare un male perché significa guardare alle cose di questo mondo senza le confortevoli illusioni di una volta e quindi andare a letto soltanto per riposare e non per lasciarsi cullare dall’idea del dolce che ci aspetterebbe al risveglio.

 

PARLIAMO DEI SOFISTI

Se sia il caso di mettersi ad accusare il destino cinico e baro se il nostro paese è popolato di demagoghi, esperti nelle arti avvocatesche di far sembrare giusto il discorso peggiore e sbagliato quello migliore, ed è così scarso di statisti,è questione che lasciamo ancora ai cortesi  lettori. In quanto a noi, riteniamo che in un paese che trabocca di avvocati e soltanto nella sua capitale, secondo recenti statistiche,  vivrebbero più avvocati che in tutta la Francia, è logico attendersi che invece di fare la fame in attesa di difendere il condomino offeso nei suoi diritti alla quiete notturna o far ottenere  all’automobilista il risarcimento per le lamiere ammaccate della sua auto, ci siano molti appetiti destati dalla possibilità di maneggiare denaro pubblico, soprattutto dove, nell’ansia di beneficiare amici e padroni non si dimentica la propria famiglia.

Non accusiamo il destino nemmeno  se i  padroni della carta stampata comprano schiere di giornalisti per farci scrivere sopra quello che torna loro più comodo o più a loro onore e più scomodo o più a disdoro dei loro nemici. Anche i letterati del giorno per giorno debbono vivere e se sono abbastanza abili e convincenti nel loro mestiere possono sperare di venire adeguatamente ricompensati. Ecco perché non ci stupiamo dinanzi alla retorica untuosa del politico la cui arte di far credere alla gente quello che la gente vuole credere, ha raggiunto, nel clima di chiacchiera permanente ormai installato nel cielo del nostro paese, vertici inimmaginabili altrove.

Il fatto è che il modo migliore per non far capire  le proprie reali intenzioni non è quello di starsene zitti, ma di avere una spiegazione per tutto e il contrario di tutto, lasciando intendere che si è sempre sul pezzo, in completa tenuta di combattimento quando si tratta di risolvere i “problemi della gente”.

Come non risparmia parole, il demagogo è esperto nell’arte di farle stare in piedi appoggiandole non alle cose, come fanno le persone timorose quando si trovano  nuotare nel grande oceano delle opportunità, ma ad altre parole,che è poi arte sopraffina, da paese di lunga civiltà. Predicando la difesa della libertà o della democrazia sostanziale,le cui chiavi si troverebbero nelle imprescrittibili leggi della storia, rivelate soltanto o lui, ha concorso a che si eclissasse il senso della democrazia formale,a tutto vantaggio delle sostanze dei padroni della stampa e del denaro dai quali i lettori sono istruiti sul bene e sul male,sia quello generale che quello loro particolare. Un affare che non sente nemmeno il bisogno di nascondersi ma viene servito tutte le mattine, , nero su bianco, insieme alla colazione.

Per far apparire il discorso peggiore il migliore o quello migliore il peggiore, il demagogo possiede nella sofistica l’attrezzatura tecnica che fa al caso suo. Perché diventa una pura abilità di combinare parole se l’assembramento sotto le finestre del potente di turno da parte di poche persone, forse prezzolate, per inveire contro le sue malefatte diventa  “protesta della gente”, “dei lavoratori”, “dei giovani”, “delle donne”, “dei pensionati”, “degli studenti” e così via, tutte giustamente indignate. Questo sofisma, che consiste nell’elevare qualche scontentezza particolare di pochi o di molti al cielo dell’idee alla moda, dove possono venir risolti in via di ideologia, è parente stretto dell’altro consistente nel trasformare  un problema, che procura un effettivo malessere nella popolazione, nella “trama della reazione in agguato”.

Ma l’armamentario del demagogo non si limita a queste due manovre verbali per far sparire le questioni scomode  e, viceversa, portare al centro dell’attenzione quelle che gli convengono, e i logici procurano istruzioni a come proteggersi da quanti nei loro ragionamenti sostituiscono associazioni psicologiche e connessioni necessarie tra le proposizioni(I. Copi:Introduzione alla logica,1964, Bologna, Cap. III). Un sofisma  dei più notevoli è detto l’argomentum ad populum, preferito dai propagandisti, venditori, pubblicitari, ecc. che consiste  nel far appello alle passioni dell’uditorio ad associazioni di idee favorevoli all’opinione che difende o contrarie a quelle che attacca. Così a un certo uditorio può venir attribuito la degna qualifica di “popolo” oppure la meno degna, o, veramente,  sospetta qualifica di “popolino” a seconda   se si trova dalla nostra parte o da quella dell’avversario. “Quando il propagandista è contrario ad un cambiamento proposto, insinuerà il sospetto che si tratti di <innovazioni alla moda> ,….Se invece egli è favorevole al cambiamento, sarà per il <progresso> e contrario ai <pregiudizi antiquati>”(p.76). Un altro sofisma, che veramente dà da mangiare a molti difensori di qualche causa, è il cos’ detto ignoratio elenchi che consiste  nel sostituire un’affermazione di principio sulla quale non è possibile dissentire a una questione particolare che si definisce in relazione a qualche preciso contesto: “”Per esempio, quando si discute una particolare proposta di legge sulle case, un legislatore può cominciare a parlare  in suo  favore dimostrando che è auspicabile dare una casa a tutti”(p.86).Come dice Copi, in questi sofismi e negli altri dello stesso genere, la connessione tra le premesse e la conclusione non è di tipo logico ma per provocare la persuasione  si affida a quale suggestione psicologica, muovendo le passioni. Il compito dei sofismi non è di illuminare le menti dissipando  le confusioni che vi suscitano le passioni, e nemmeno di confonderle ancora di più, che sarebbe diabolico, ma di servire al bisogno tutto umano di conquistare qualche vantaggio, come vedremo subito.

 

 

 

I COSTI DELLA POLITICA

Il 2° Rapporto UIL sui costi della politica del luglio 2012, offre un quadro abbastanza completo e attendibile dei costi diretti e indiretti della partitocrazia, ossia, della quota di  ricchezza nazionale di cui i partiti, in un modo o nell’altro, si appropriano e che potrebbe venir impiegata per scopi sociali o produttivi.

Secondo l’ultima inchiesta di questa organizzazione sindacale, oltre 1,1 milioni di persone in Italia vivono direttamente o indirettamente di politica, con una spesa annuale di 23,1 miliardi di euro. Come visto sopra, di queste, 144.000 occupano il loro posto per mandato elettorale, come ministro, parlamentare, consigliere o assessore nelle giunte regionali, provinciali e comunali. Ad essi vanno aggiunti 24. 000 consiglieri di amministrazione delle 6978 società partecipate, con un costo complessivo di 2,6 miliardi di euro l’anno, nonché un esercito di consulenti, perché si deve supporre che consiglieri e politici siano dei perfetti ignoranti nelle questioni amministrative, che comportano una spesa di circa 3 miliardi di euro

La UIL ipotizza che riportando i costi della politica al suo livello fisiologico, si possa realizzare un risparmio di circa 10,4 miliardi di euro l’anno.

Un quadro più completo della pletora di faccendieri che gravitano attorno alla politica, si dovrebbe dire attorno al bilancio pubblico, è riportato nella tabella sottostante.

 

NUMERO DI PERSONE IN POLITICA ENTE PER ENTE(elaborazione UIL)

NUMERO

ENTI

 

Parlamento e governo 1067
Province 3857
Comuni 137.936
CDA aziende pubbliche 24.432
Collegi revisori, collegi sindacali PA e aziende pubbliche 44.165
Personale di supporto politico 38.120
Apparato politico 390.620
Incarichi e consulenze PA e aziende pubbliche 487.949
Totale 1.128.722

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL MODERNO CHE AVANZA

Per farsi un’idea di come nei nostri parlamentari le preoccupazioni per il proprio reddito siano cresciute nel tempo, può tornare  utile confrontare la situazione dei primi anni di vita repubblicana con quelli dei parlamentari di oggi.

Nel primo parlamento nazionale, quello cui sedevano gentucola some Croce, Einaudi, De Gasperi, La Malfa, gli emolumenti comprendevano un’indennità mensile di 65 mila lire, più una diaria di cinquemila lire per ogni giorno di seduta come rimborso spese, in tutto circa 150 mila lire al mese, equivalenti a circa cinque volte il salario medio di un operaio o impiegato. Oggi, il parlamentare gode di indennità mensile di  12.000 euro, più una diaria pure mensile di 4000 euro, che insieme corrispondono a circa 12 stipendi medi (C.Salvi, M.Villone, I costi della democrazia, 2005, pp. 35-6). Senza contare rimborsi spese e agevolazioni varie e senza che la qualità media sia migliorata o la produttività aumentata.

 

LE GIOIE DEL POTERE

A riprova della sollecitudine e sistematicità con le quali molti politici,dimenticate le fatiche e le promesse della campagna elettorale,sanno provvedere alle proprie fortune, basta citare alcuni altri dati, riferibili questa volta alle istituzioni regionali. Il reddito medio pro capite nelle regioni più ricche d’Italia (Trentino Alto Adige, Lombardia,ecc.) è circa il doppio rispetto a quello delle regioni più povere (Calabria, Sicilia)(32.000 euro nelle prime contro 16.000 delle seconde). Di contro, forse a ricompensa delle fatiche spese per amministrare territori in condizioni così disastrate,i consiglieri regionali siciliani hanno ritenuto di aver diritto a un’indennità mensile di 12.434,più una diaria di 4.033 euro, che naturalmente si sono subito assegnati,ben superiori agli emolumenti dei consiglieri lombardi (8.082 e 2.602 euro rispettivamente) (C.Salvi e M.Villone,cit., p.40). Nello stesso tempo,il presidente della regione siciliana ritiene di aver bisogno dei servigi di 23 addetti stampa i quali,a differenza dei 20.000 forestali che si prendono cura di foreste che non ci sono, ma tengono famiglia e vanno regolarmente pagati,si affaticano a ritagliare gli articoli di giornali,a riunirli in raccoglitori e a trasportare questi ultimi da una stanza all’altra.  Si potrebbe continuare rivelando come gli eletti nei consigli provinciali, comunali e circoscrizionali, i consulenti vari,abbiano saputo provvedere ai propri affari,senza dimenticare quelli di amici, parenti e i galoppini elettorali,adeguatamente ricompensati. Il loro esemplare attaccamento alla famiglia e agli amici, dei quali provvedono ad incrementare i cespiti,è dimostrato anche dall’interesse col quale tengono d’occhio le svendite degli appartamenti di lusso da parte degli enti pubblici. Senza dimenticare i tempi grami e la vecchiaia che, si sa, è un  tempo gramo da sé.

Confessiamo di provare una certa invidia nei confronti di chi ha saputo provveder così bene a se stesso e senza dover affrontare gli incerti di una libera professione, dell’industria o del commercio, ma  predicando a destra e a manca di pensare soltanto al “bene della gente”, ossia, proprio quello che la gente vuole sentirsi dire.

 

 

COME TI ERUDISCO IL PUPO

Vogliamo partire col nostro notiziario sulla partitocrazia(termine coniato dal giurista Giuseppe Maranini nel 1949)da alcuni dati grezzi, ma non per questo meno significativi. A guardar bene, nella loro semplicità essi lasciano trasparire, come attraverso un prisma ottico, tutta la potenza devastante di una distorsione della vita economica, sociale e politica del nostro paese per lungo tempo scambiata per condizione di normalità.

Secondo l’Ocse, l’Italia occupa il penultimo posto, tra i paesi che fanno parte di questa organizzazione, per la quota di PIL dedicata alla scuola,il 4,5 % contro il 6 % medio degli altri paesi(dati 2009). In compenso,per la statistica riportata nella tabella sottostante, il numero degli eletti alle cariche pubbliche, regolarmente stipendiati,con i soliti familiari e amici a carico, si aggira intorno a 144.000,circa la somma di tutti gli eletti in tre paese Spagna, Francia e Germania messi insieme. Senza contare l’esercito,anche più numeroso e combattivo di quello dei politici,dei consulenti e degli amministratori pubblici di nomina politica, spesso uomini di partito trombati in qualche turno elettorale,  pure loro con famiglia a seguito con giuste esigenze famigliari a soddisfare.

 

 

 

DETTAGLIANTI E GROSSISTI DELLA POLITICA

”Bisogna in specie sfatare il luogo comune tutto italiano,secondo il quale ci sarebbe un rapporto causale tra partiti forti e corruzione politica. La corruzione si diffuse invece quando i partiti smarrirono la funzione essenziale di concorrere con metodo democratico alla vita politica nazionale,…,e divennero partitocrazia,cioè occupazione del potere. Partiti forti nell’occupare il potere  ma deboli nella loro intima funzione sociale,nella partecipazione popolare,nel consenso profondo” (C. Salvi, M. Villone, cit., p.19). I partiti  deboli diventano preda dei propri boiardi che controllano pacchetti di voti, senza trascurare i poteri economici in grado di trasformare questa debolezza in opportunità da far fruttare a proprio vantaggio. I partiti senza politica, seguendo la loro logica intrinseca, hanno cercato il potere senza badare ai mezzi. Così la partecipazione popolare è stata sostituita dalla ricerca del consenso elettorale senza lesinare in promesse che si sa di non poter mantenere. I partiti senza cultura politica e senza intima adesione popolare hanno fatto ricorso a tecniche di persuasione mutuate dalla pubblicità commerciale, soprattutto a quelle televisive oppure, in modo più riservato, a ricerca del consenso in cambio di favori. Sono nati i partiti personali, le organizzazioni volte a procacciarsi pacchetti di voti con ogni mezzo e da vendere poi al miglior offerente. Questa ci sembra la spiegazione della pletora di liste che ad ogni tornata elettorale troviamo sulle schede, sempre più larghe rispetto alla tornata precedente. Dalla partitocrazia classica degli anni antecedenti l’89, con i suoi partiti compattati dalle ideologie, con i suoi comizi affollati, con le sue parole d’ordine pronte a far scattare il riflesso condizionato dell’applauso e del fischio, si è passati ai partiti cosche che difendono soltanto gli interessi privati del proprio personale dirigente e dei rispettivi portaborse.

 

 

CONCLUSIONI PROVVISORIE

La casta di G.A.Stella e S.Rizzo,il libro di Salvi e Villone su I costi della democrazia,spiegano La Deriva,pure di Stella e Rizzo proprio come quest’ultimo spiega i primi due. La ricerca dei privilegi da parte del personale partitico non si risolve soltanto in un consumo di risorse prodotte col lavoro di tutti ma, il che è ancora peggio,distorce l’azione politica e l’allontana dai suoi specifici compiti,tra i quali possiamo mettere quello di tenere le città pulite dai rifiuti e le strade senza tante buche,nonché assicurare gli ausili ottimali a malati, infanti,puerpere e senescenti, ridurre il numero delle casalinghe scippate del borsellino agli incroci delle strade. Né è da sperare che la politica si riformi da sé, visti i vantaggi che i politicanti ricavano dalla presente situazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ITTIOLOGIA FINANZIARIA(Una scienza utile per sopravvivere nel mondo globale)

Più ci si immerge nelle profondità degli oceani finanziari, più si esplorano i suoi anfratti dove la luce del sole fa fatica a penetrare, più strane creature vengono scoperte, sebbene è da dirsi che non vi manchino nemmeno quelle già studiate e classificate nelle loro attitudini specifiche dai manuali scientifici. Nelle grandi distese oceaniche i loro corpi flessuosi si muovono liberamente e cautamente, come si conviene a persone discrete, senza mai compiere un gesto brusco. Se  lanciano segnali tranquillizzanti, non lo fanno certo perché si sono convertiti a  più miti comportamenti alimentari ma per non allarmare le possibili prede, leste a mettere al riparo il gruzzoletto  faticosamente radunato sotto il materasso. La tecnica mimetica preferita da queste creature sempre affamate consiste nel rivestirsi dei colori che più allettano gli abitanti del reef, a loro volta alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, e se il rosso, il colore dei futuri radiosi, sembra fatto apposta per attirare quanti vivono con la speranza di un pasto gratis, nemmeno l’azzurro, come più facile a mimetizzarsi nell’acqua circostante, viene trascurato.

L’arte mimetica ha la sua utilità perché serve a disorientare le future  vittime le quali, nella loro semplicità e ignoranza delle regole che vigono nei fondali oceanici, scambiano le paroline dolci, che non costano nulla come le promesse, per il dolce che viene servito a fine pranzo. Altrettanto efficace è l’arte intimidatoria, che consiste nel galleggiare mettendo in mostra tutti i denti per far sapere chi comanda. In una simile arte, che si impara ascoltando la voce dello stomaco, serve più la dotazione naturale,  avere denti e artigli affilati ed un  apparato di sensi sviluppato più che negli altri animali e atto a guidare  verso le prede che a questo punto possono soltanto sperare nella velocità delle loro pinne.

Gli squali bianchi sono chiamati in questo modo per avere il ventre di un colore bianco latteo. Ma questa è la sola nota gentile che li  caratterizza perché il loro sguardo di animali preistorici non lascia dubbi sulle loro intenzioni. Possiedono mascelle armate di doppia fila di denti adatti sia per afferrare  e trattenere le prede, che sono soliti  ingoiare per intero, scheletro compreso.  Infatti, hanno un morso caratterizzabile tecnicamente come frontale, a viso aperto, come nella borsa valori, dove effettivamente non si fanno prigionieri, sebbene non disdegnino attaccare lateralmente, da destra o da sinistra per loro fa lo stesso, almeno a giudicare dalle impronte lasciate dai denti sulla carne di quanti hanno avuto la fortuna di  lasciare  nelle loro bocche soltanto una parte di se stessi, oppure scorrendo i loro giornali grondanti di altruismo e solidarietà con quelli che chiamano gli “svantaggiati”.

Preferiscono cacciare nelle profondità dei fondali marini, insieme ad altri mostri voraci, a causa della scarsa luce che vi penetra dall’alto e dove il profano si smarrirebbe nella vegetazione dei termini tecnici e delle leggi che contribuiscono a renderli ancora più impenetrabili, essi trovano l’ambiente più favorevole alla riuscita delle loro imprese. Hanno un appetito insaziabile e in un solo pasto possono ingoiare carne sino ad un sesto del loro peso, come hanno scrupolosamente calcolato gli scienziati del ramo. Cacciano da soli o in branchi, preceduti e seguiti da  codazzi di ciarlieri animali marini dai colori vivaci utili per attirare le vittime predestinate, ricompensati con gli avanzi dei pasti, ma pur sempre sostanziosi. Branchi di questi squali vengono avvistati nel reef caraibico, dove sono una specie protetta dalle legislazioni locali che così diventano benemerite  nei riguardi della protezione di questa speciale fauna marina.

Con tutto il loro appetito insaziabile, si tratta alla fine di animali riservati ed è raro che vengano alla superficie, ma allora, attirati dall’odore dei risparmi dell’ignaro  pensionato o della casalinga ancora più ignara,  prediligono cacciare nelle vicinanze delle banche, soprattutto di quelle dalla denominazione più caritatevole o che addirittura dicono di essere sotto la protezione di qualche santo.

Lo squalo tigre invece usa frequentare le acque base e cacciare di notte, per sfruttare meglio la capacità di visione dei suoi occhi adattati alla vita  notturna. E questo non perché sia stato messo sulla strada del malaffare dalla cattiva compagnia, come si dice di ogni teppista,  ma perché è un delinquente nato. Infatti, dietro la retina ha una membrana che riflette la scarsa  luce notturna  col risultato di aumentarne la capacità di visione.  Si avvicina furtivamente alla preda, che afferra dal davanti e ingoia per intero, aiutato in questo dalle sue mascelle svincolate dal cranio, accorgimento che serve ad amplificare l’apertura della bocca. Come gli altri squali, anche lo squalo tigre è molto sensibile al rumore, a quelli che gli segnalano  l’approssimarsi della preda come agli altri che vengono fatti intorno alle sue imprese che potrebbero metterlo in cattiva luce di fronte all’opinione pubblica del reef. Essi infatti  non prendono sotto gamba la reputazione, soprattutto perché i pesciolini che sono le loro vittime giudicano soltanto sulla base della reputazione, che oggi vengono fate da giornali e televisioni di proprietà degli stessi squali, le sole finestre attraverso le quali essi  guardano il mondo.

Anche lo squalo detto tagliatore ci tiene al rispetto generale, a passare per amico del popolo e del progresso ed è fornito di due formidabili file di denti, una superiore  per afferrare e una inferiore per strappare la carne della vittima, con le quali mette in pratica il suo intento filantropico. Tuttavia, le fauci dello squalo tagliatore sono un giochetto per bambini rispetto a quelle dello squalo della Groenlandia, che si segnala per la sua tecnica raffinata,  certamente frutto di una lunga evoluzione,  che consiste nell’afferrare la preda e poi girare su se stesso per strappare il morso. A sua volta,  con tutti i suoi doni di natura, lo squalo della Groenlandia farebbe una ben magra figura rispetto a quello detto del collare, dotato di un’apertura mascellare enorme che gli permette di ingoiare la vittima per intero. Si dirà che la colpa è della vittima che, mettendo piede in una banca,  si è pure messa in affari con i pescecani, i quali sono così cortesi da  mettere i clienti dinanzi a una selva di clausole la cui oscurità non diminuisce per il fatto che sono scritte in caratteri microscopici. E poi ci si lamenta se i semplici finiscono nelle reti dei complessi. Lo squalo del collare non usa né parole suadenti né ragionamenti capziosi per attirare le sue vittime, ma si limita ad irradiare strane luminescenze colorate che possono andare dal verde al rosso,  per definizione i colori del progresso e dell’avvenire, come ripetono alcune  canzonette un giorno alla moda tra i lavoratori.

Resterebbe da dire qualcosa di un altro insigne abitante degli oceani finanziari: lo squalo balena, il quale deve sì distinta denominazione non tanto alla sua mole, peraltro considerevole, ma per avere al posto dei denti che sembrano fatti apposta all’omicidio o, almeno, al furto violento,  un sistema di fanoni simili a quelli delle balene, adatte più a imprigionare i piccoli animaletti che entrano nella sua bocca che a mordere e lacerare. Le sue abitudini alimentari lo portano quindi a rivolgersi alle “masse” piuttosto che alle prede di grossa taglia, essendo il suo pasto ordinario fornito dai branchi di sardine, che si sentono al sicuro, protette tanto dalla loro piccolezza che dall’anonimato del numero. Le tecniche di caccia dello squalo balena sono perciò più mirate ed elaborate e si giovano della cooperazione di tonni dalla parlantina sciolta, quella che ci vuole per convincere le sardine parlando da uno schermo televisivo, tra i bagliori di luci fosforescenti  che bastano da soli ad abbagliare e incantare lo spettatore serale . Esso infatti si avvicina al branco, apre la bocca e se ne sta immobile mentre i torni si danno da fare per spingere le sardine ad entrarvi, certamente usando gli argomenti più adatti. I quali a lavoro terminato, saziata la loro fame con le briciole lasciate dal padrone,  se ne tornano a casa convinti di aver compiuto opera meritoria, come deve venir considerata quella di dar da mangiare agli affamati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CHE COS’E’ LA PARTITOCRAZIA(Ernesto Rossi sulla partitocrazia)

Appena usciti dalla dittatura e dalla guerra mondiale, ristabilita la così detta democrazia parlamentare, dalle pagine del Mondo Ernesto Rossi(1897-1967) si prova a mettere a nudo dinanzi agli occhi degli italiani la natura dei partiti di massa appena ricostituiti e la loro logica immanente. Spirito realista, immune da intenti  denigratori nei confronti dell’dea democratica,  apparsa così seducente nei cupi anni della dittatura, il suo scopo era prima la diagnosi del male e, successivamente, di sentire i rimedi a processi degenerativi che sembravano svuotare di contenuti un’idea per la quale molte persone si erano battute ed erano morte.

“Il suffragio universale e la rappresentanza proporzionale – che hanno costretto i partiti ad estendere la propaganda tra tutti i ceti sociali -, il progresso della tecnica di propaganda – con la quale si riesce a convincere gli elettori a votare  per certe liste e per certi candidati con gli stessi costosi sistemi con i quali si persuade la gente a comprare i dentifrici -, la sempre maggiori difficoltà a trovare persone che lavorino gratuitamente per realizzare un programma politico, hanno fatto enormemente   aumentare, durante l’ultimo cinquantennio, le spese dei partiti politici.

Per far funzionare la <macchina> di un partito di massa oggi occorre gettare sotto la sua caldaia quattrini a palate:alcuni miliardi vanno ogni ano per l’organizzazione e le attività ordinarie( sedi della direzione centrale, delle federazioni provinciali, delle sezioni comunali e dei quartieri; stipendi a molte centinaia d funzionari; rimborsi delle spese di viaggio e di soggiorno per convegni internazionali e riunioni della direzione, del comitato centrale e di tutti gli altri comitati; manifestazioni pubbliche, film,posta, automobili dei dirigenti; manifesti murali;assistenza legale,ecc.),mentre altri miliardi vengono spesi saltuariamente per le campagne elettorali, per coprire i disavanzi dei giornali politici, per i congressi, per i contributi straordinari per le associazioni parapartitiche,ecc.”(Il <combustibile> dei partiti,in: Ernesto Rossi:Contro l’industria dei partiti, 20 ottobre 1963, in: Chiare lettere, 20012, p. 83-4).

Rossi vedeva l’inizio dell’epoca classica della partitocrazia, quella che va dalla fine del secondo conflitto mondiale, il 1945, e la caduta del muro di Berlino(1989), l’epoca della guerra fredda e dei blocchi ideologici contrapposti, caratterizzata dalla competizione per attrarre consensi condotta senza esclusione di colpi guerra e al limite della guerra civile strisciante. Tuttavia, le sue considerazione si rivelano valide in ogni circostanza data l’importanza della posta politica in gioco in ogni turno elettorali: la direzione degli affari pubblici e la gestione dei relativi bilanci in cui sono maneggiate somme enormi di denaro, la possibilità di favorire con leggi, decreti, la rivelazione di notizie riservate ad amici e finanziatori.

Da qui la relativa facilità con la quale si può rispondere alla domanda:da dove vengono tutti i quattrini spesi dai partiti?

“Il bisogno di quattrini, il bisogno di sempre più quattrini da buttare a palate sotto la caldaia della macchina, è uno dei principali fattori che determinano l’atteggiamento pratico dei partiti davanti ai maggiori problemi che hanno comunque un riflesso sulla vita economica del paese. Gli amministratori dei partiti non possono trovare le decine e le centinaia di milioni, necessari alla macchina, nel portafogli dei <tifosi> che delirano di entusiasmo ai discorsi dei propagandisti nei comizi politici; li trovano nelle casse delle organizzazioni padronali di categoria, nei conti correnti in banca dei grandi industriali e  dei grandi proprietari terrieri e nelle percentuali sugli affari, più o meno sporchi, resi possibili dagli interventi statali”(Le serve padrone, Il Mondo,24 giugno 1950, in ibidem, p. 9).

Qual è l’origine di tanti slanci di solidarietà dei danarosi padroni nei confronti dei bisognosi partiti di massa? Sono essi stati colpiti da improvvisi attacchi di generosità per le sorti della massa o per l’ideale? Niente di tutto questo.

“I grandi finanziatori dei partiti non danno i quattrini per motivi altruistici;li danno per avere la difesa dei loro interessi, e per ottenere favori e privilegi che compensino le somme sborsate, considerando nel costo di questi investimenti anche un’altissima quota per i rischi relativi a tutte le operazioni del genere…Ogni partito al governo dispone di cariche, incarichi, enti da gestire o da controllare con i propri uomini, e quindi è logico e naturale che costoro,  dovendo al partito da cui provengono la nomina, dirigano e amministrino con i criteri loro imposti o suggeriti”(ibidem,pp.9-10).

In altre parole, accade quello che è accaduto da che mondo e mondo:i pifferai suonano la musica comandata da chi sborsa i dobloni o i talleri, e buon per loro se viene trovata di gradimento dal vasto pubblico perché, nel sistema proporzionale, più voti significa più potere e quindi più posizioni di comando da occupare per compensare i finanziatori ben nascosti nell’ombra.   In quanto alla musica suonata, è quella che si è soliti ascoltare nelle pubbliche piazze, dove si accampano gli imbonitori dei rimedi miracolosi, i venditori della mercanzia più variopinta.

E questo non senza una logica necessità perché nelle condizioni sociali del mondo moderno non si va nelle pubbliche piazze per scambiare e ragionare ma  per farsi intrattenere dall’illusionista di turno, la cui lingua spericolata e senza i ritegni di chi dovrà poi rispondere di se stesso,  è abile nell’unire quanto la logica delle cose  tiene distinto e separa quanto invece deve restare unito. Infatti, esperti come sono nel disegnare seducenti scenari con le parole, sanno pure il fatto loro quando si tratta di tenerle separate dai fatti che invece dovrebbero garantirne l’autenticità, per accoppiarli con altri creati ad arte, o immaginari come le parole, ma con le quali sembrano andare d’amore e d’accordo, secondo l’arte sublime del conduttore di popoli, del demagogo che nelle democrazie trova le condizioni migliori per far fortuna.

Pazienza se tutto questo si riducesse alla fine soltanto in una perdita erariale, nel passaggio del denaro dalle tasche del contribuente alla cassa pubblica e da questa nelle tasche degli amministratori e finanziatori dei partiti, un travaso che ubbidisce alla legge di natura secondo la quale il denaro è attratto da altro denaro. Perché per favorire i finanziatori, i partiti debbono tener lontano dai posti strategici che decidono e controllano la spesa degli enti pubblici, le persone capaci ed oneste, i così detti servitori dello stato, difficili da convincere ad abbandonare gli obiettivi  criteri di gestione. Essi difficilmente si piegherebbero alle direttive dei maneggioni di partito  a vantaggio degli arrivisti più spregiudicati, sempre pronti a ubbidire a coloro ai quali debbono il posto. Conoscitori delle leggi quanto basta per eluderle senza subirne le conseguenze, sanno come muoversi nella giungla dei bilanci degli enti amministrati per creare fondi a favore dei partiti di riferimento.

“Nessuno potrà mai stabilire quanti miliardi della ricchezza nazionale sono così distrutti per ogni centinaio di milioni che entra nelle tasche degli affaristi politicanti quale compenso per ogni milione che i medesimi signori versano nelle casse dei partiti.

…Il male forse più grave è che molti degli espedienti usati dagli uomini politici per finanziare i partiti non possono essere messi in pratica senza la connivenza dei funzionai preposti ai più importanti servizi pubblici. E, una volta che abbiano aiutato gli uomini politici a tali pratiche camorristiche, i più alti papaveri della burocrazia romana diventano intoccabili. Anche se non hanno voglia di lavorare, anche se sono completamente inadatti ai loro compiti, anche se rubano a man salva, non possono più esser rimossi. Le loro malefatte sono tutte perdonate per timore che vengano altrimenti scoperti dei pericolosi altarini”(Una malattia segreta,Il Mondo 30 agosto 1952, in ibidem,p.42).

Così Ernesto Rossi. Ma se dai primi anni ’50, quando i partiti ancora strutturati, organizzati nella logica delle grandi divisioni di interessi  del mondo sociale e delle idee che li rappresentavano,  seguivano nel procacciarsi denaro  un metodo dotato di una sua perversa giustificazione, veniamo ai nostri giorni, i giorni dei partiti personali senza metodo e senza organizzazione,dobbiamo ammettere che le cose non sono affatto cambiate e anzi sono peggiorate e non soltanto sul piano della logica politica. Ora le cricche che tengono in pugno i partiti si risparmiamo persino di sbandierare gli ideali di una volta, ma si limitano ad accusarsi reciprocamente di tutti i misfatti mentre nell’ombra continuano a spartirsi le spoglie del paese. Con quali risultati il benevolo lettore scoprire nelle pagine del nostro Notiziario sulla partitocrazia.

Novembre 2012