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LE RAGIONI DI UN FORUM DEGLI ITALIANI

Le potenze finanziarie e partitiche che controllano l’informazione usano fare un gran rumore attorno a quelle notizie che tornano loro comodo farci conoscere, talché ben pochi di quegli altri fatti che le vede come protagoniste riescono a filtrare il velo di silenzio che le nasconde alla vista del normale cittadino che ne è nel contempo anche vittima. Non discutiamo qui delle tecniche più in voga messe in atto per dare ad ogni notizia la colorazione desiderata, la capacità di  colpire il lettore nell’organo prescelto, quale la paura di perdere il suo o la speranza di acquistare dell’altro.  Serviti  da stuoli di fabbricanti di frasi a pagamento, nella loro costruzione di reti per catturare gli speranzosi pesci  desiderosi soltanto di veder confermate le ragioni dei loro amori o delle loro avversioni, trasformano notizie, che in un mondo normale sarebbero puri fatti di cronaca, in eventi cataclismatici o salvifici, e, da parte opposta, assottigliano le loro imprese che seminano lutti e rovine sino al punto da renderle trasparenti sino all’invisibilità. Il lettore frettoloso  che tutte le mattine vuole sapere se il mondo nel quale  la sera precedente è andato a letto si trova ancora al solito posto, quindi incapace di accorgersi della manovra ordita alle sue spalle, sarà persino grato al suo giornale perché gli racconta con dovizie di particolari l’ultimo episodio scandaloso che ha avuto come protagonista qualche nemico del padrone che paga le spese della carta e dei giornalisti che vi scrivono sopra. Se poi  la manovra mimetica non sortisce gli effetti voluti, c’è sempre quella diversiva, che consiste nel fare dell’ultima impresa amorosa dell’attricetta famosa per esibire i suoi glutei rosei ad ogni occasione un avvenimento del quale è obbligatorio esser informati. Mentre di fronte a tutto questo dichiariamo di non voler gridare allo scandalo ma che, al contrario, lo consideriamo conforme all’ordinario corso delle cose, nel senso di così va il mondo, dichiariamo pure la nostra diffidenza, che confina con l’indipendenza, nei confronti dei  creatori della pubblica  opinione, o, almeno, di quella più alla mano della quale si può parlare al bar o in tram con la speranza di venir compresi .

Esiste infatti un’altra via   per immettersi nelle correnti dove circola lo spirito del mondo, più scorrevole rispetto alla carta stampata. La via di grande traffico delle informazioni, quindi delle verità destinate a durare alcuni secondi, è in funzione in tutte le ore del giorno e della notte, alimentata da quanti vogliono venderci quacosa, dalle notizie del giorno alle verità del secolo, preoccupati di salvare  l’anima di gradi e piccoli. La nuova via non ha le rugosità della carta stampata, con le sue parole pronte a ingoiare il lettore nei secondi sensi ma, scorrevole come la chiacchiera degli imbonitori, fa muovere il lettore in circolo da un’idea fatta all’altra, sistema sublime  per fargli credere che il mondo per lui non ha più segreti, evitando il ricorso alle iniziative personali che non si sa mai come finiscono, quando è più riposante giudicare usando la testa degli altri.

Questo problema del giudicare è molto importante, e noi siamo tra quelli che non lo  prendono  sottogamba, ma, al contrario, lo reputiamo decisivo per quanti non solo vogliono vedere con i propri occhi ma coltivano pure l’ardire di  giudicare con la propria testa, pretesa sempre inquietante per quanti invece coltivano l’arte di dispensare consigli non richiesti.

La comunicazione, che abbiamo visto come fattore alla base del legame sociale, è motivata  dall’interesse comune a scambiare opinioni e informazioni in vista di una chiarificazione reciproca o di una migliorata conoscenza delle  cose. Da qui l’apprezzamento per lo scambio, la richiesta di chiarimenti, l’obiezione,  invece che per  l’l’imbecca, le informazioni che viaggiano in un solo senso, i giudizi preconfezionati nelle catene di montaggio dell’opinione pubblica ai quali non è possibile aggiungere o togliere niente.

Giudicare infatti non può risolversi in una faccenda privata, perché usa il mezzo sociale per eccellenza del linguaggio. D’altra parte, non si può dire che per esprimere un proprio pensiero occorra aspettare di sapere che cosa ne pensa il mondo, o coloro che si dicono suoi padroni. Nel giudicare, il soggetto ha davanti un’esperienza che è  sua e di nessun altro e il suo giudizio raggiungerà l’oggetto al quale è diretto se trova il punto di convergenza tra il non detto delle sue percezioni, e persino l’indicibile, e il troppo detto del quale si alimenta l’opinione pubblica, un’impresa che rende onore alla filosofia come all’arte che se ne occupano. Il giudizio si rivolge al mondo e a noi stessi e si attende di venir giudicato a sua volta dal mondo e dalle persone.  Per questa sua ambivalenza, possiamo dire che si trova nel punto in cui  individuo e società s’incontrano, si riconoscono  e si determinano nelle reciproche caratteristiche. La conclusione da trarre da tutto questo  è che  l’opinione pubblica non costituisce qualcosa di astratto, che riguarda soltanto alcuni poteri che si caricano del fardello di informare e istruire gli ignoranti, ma si forma insieme con quella personale, così come questa cresce con la prima della quale rappresenta il momento molecolare.

Nella comunicazione, sequenza di scambi e di mediazioni, il soggetto giunge a conoscere meglio tanto se stesso che la società e il mondo. Una migliorata conoscenza delle condizioni del mondo e la chiarificazione degli intenti, propri e degli altri, sono fatti per  condizionarsi  a vicenda e si realizzano con l’istituzione di relazioni di natura sociale, comprese quelle relazioni finalizzate allo scambio di valori economici o, per essere più precisi, quegli impegni e patti sui quali si sostiene la vita materiale di tutti, si realizzano organizzazioni finalizzate a qualche scopo comune e si giunge a quelle determinazioni all’origine dei fatti a produrre i quali sono istituite.

 

Bibliografia

G.Mounin: Guida alla linguistica, Feltrinelli, 1982

G.Mounin: Guida alla semantica, Feltrinelli, 1983

G.Calogero:Le regole della democrazia e le ragioni del socialismo, 2012.

 

 

CHE COS’E’ LA PARTITOCRAZIA(Ernesto Rossi sulla partitocrazia)

Appena usciti dalla dittatura e dalla guerra mondiale, ristabilita la così detta democrazia parlamentare, dalle pagine del Mondo Ernesto Rossi(1897-1967) si prova a mettere a nudo dinanzi agli occhi degli italiani la natura dei partiti di massa appena ricostituiti e la loro logica immanente. Spirito realista, immune da intenti  denigratori nei confronti dell’dea democratica,  apparsa così seducente nei cupi anni della dittatura, il suo scopo era prima la diagnosi del male e, successivamente, di sentire i rimedi a processi degenerativi che sembravano svuotare di contenuti un’idea per la quale molte persone si erano battute ed erano morte.

“Il suffragio universale e la rappresentanza proporzionale – che hanno costretto i partiti ad estendere la propaganda tra tutti i ceti sociali -, il progresso della tecnica di propaganda – con la quale si riesce a convincere gli elettori a votare  per certe liste e per certi candidati con gli stessi costosi sistemi con i quali si persuade la gente a comprare i dentifrici -, la sempre maggiori difficoltà a trovare persone che lavorino gratuitamente per realizzare un programma politico, hanno fatto enormemente   aumentare, durante l’ultimo cinquantennio, le spese dei partiti politici.

Per far funzionare la <macchina> di un partito di massa oggi occorre gettare sotto la sua caldaia quattrini a palate:alcuni miliardi vanno ogni ano per l’organizzazione e le attività ordinarie( sedi della direzione centrale, delle federazioni provinciali, delle sezioni comunali e dei quartieri; stipendi a molte centinaia d funzionari; rimborsi delle spese di viaggio e di soggiorno per convegni internazionali e riunioni della direzione, del comitato centrale e di tutti gli altri comitati; manifestazioni pubbliche, film,posta, automobili dei dirigenti; manifesti murali;assistenza legale,ecc.),mentre altri miliardi vengono spesi saltuariamente per le campagne elettorali, per coprire i disavanzi dei giornali politici, per i congressi, per i contributi straordinari per le associazioni parapartitiche,ecc.”(Il <combustibile> dei partiti,in: Ernesto Rossi:Contro l’industria dei partiti, 20 ottobre 1963, in: Chiare lettere, 20012, p. 83-4).

Rossi vedeva l’inizio dell’epoca classica della partitocrazia, quella che va dalla fine del secondo conflitto mondiale, il 1945, e la caduta del muro di Berlino(1989), l’epoca della guerra fredda e dei blocchi ideologici contrapposti, caratterizzata dalla competizione per attrarre consensi condotta senza esclusione di colpi guerra e al limite della guerra civile strisciante. Tuttavia, le sue considerazione si rivelano valide in ogni circostanza data l’importanza della posta politica in gioco in ogni turno elettorali: la direzione degli affari pubblici e la gestione dei relativi bilanci in cui sono maneggiate somme enormi di denaro, la possibilità di favorire con leggi, decreti, la rivelazione di notizie riservate ad amici e finanziatori.

Da qui la relativa facilità con la quale si può rispondere alla domanda:da dove vengono tutti i quattrini spesi dai partiti?

“Il bisogno di quattrini, il bisogno di sempre più quattrini da buttare a palate sotto la caldaia della macchina, è uno dei principali fattori che determinano l’atteggiamento pratico dei partiti davanti ai maggiori problemi che hanno comunque un riflesso sulla vita economica del paese. Gli amministratori dei partiti non possono trovare le decine e le centinaia di milioni, necessari alla macchina, nel portafogli dei <tifosi> che delirano di entusiasmo ai discorsi dei propagandisti nei comizi politici; li trovano nelle casse delle organizzazioni padronali di categoria, nei conti correnti in banca dei grandi industriali e  dei grandi proprietari terrieri e nelle percentuali sugli affari, più o meno sporchi, resi possibili dagli interventi statali”(Le serve padrone, Il Mondo,24 giugno 1950, in ibidem, p. 9).

Qual è l’origine di tanti slanci di solidarietà dei danarosi padroni nei confronti dei bisognosi partiti di massa? Sono essi stati colpiti da improvvisi attacchi di generosità per le sorti della massa o per l’ideale? Niente di tutto questo.

“I grandi finanziatori dei partiti non danno i quattrini per motivi altruistici;li danno per avere la difesa dei loro interessi, e per ottenere favori e privilegi che compensino le somme sborsate, considerando nel costo di questi investimenti anche un’altissima quota per i rischi relativi a tutte le operazioni del genere…Ogni partito al governo dispone di cariche, incarichi, enti da gestire o da controllare con i propri uomini, e quindi è logico e naturale che costoro,  dovendo al partito da cui provengono la nomina, dirigano e amministrino con i criteri loro imposti o suggeriti”(ibidem,pp.9-10).

In altre parole, accade quello che è accaduto da che mondo e mondo:i pifferai suonano la musica comandata da chi sborsa i dobloni o i talleri, e buon per loro se viene trovata di gradimento dal vasto pubblico perché, nel sistema proporzionale, più voti significa più potere e quindi più posizioni di comando da occupare per compensare i finanziatori ben nascosti nell’ombra.   In quanto alla musica suonata, è quella che si è soliti ascoltare nelle pubbliche piazze, dove si accampano gli imbonitori dei rimedi miracolosi, i venditori della mercanzia più variopinta.

E questo non senza una logica necessità perché nelle condizioni sociali del mondo moderno non si va nelle pubbliche piazze per scambiare e ragionare ma  per farsi intrattenere dall’illusionista di turno, la cui lingua spericolata e senza i ritegni di chi dovrà poi rispondere di se stesso,  è abile nell’unire quanto la logica delle cose  tiene distinto e separa quanto invece deve restare unito. Infatti, esperti come sono nel disegnare seducenti scenari con le parole, sanno pure il fatto loro quando si tratta di tenerle separate dai fatti che invece dovrebbero garantirne l’autenticità, per accoppiarli con altri creati ad arte, o immaginari come le parole, ma con le quali sembrano andare d’amore e d’accordo, secondo l’arte sublime del conduttore di popoli, del demagogo che nelle democrazie trova le condizioni migliori per far fortuna.

Pazienza se tutto questo si riducesse alla fine soltanto in una perdita erariale, nel passaggio del denaro dalle tasche del contribuente alla cassa pubblica e da questa nelle tasche degli amministratori e finanziatori dei partiti, un travaso che ubbidisce alla legge di natura secondo la quale il denaro è attratto da altro denaro. Perché per favorire i finanziatori, i partiti debbono tener lontano dai posti strategici che decidono e controllano la spesa degli enti pubblici, le persone capaci ed oneste, i così detti servitori dello stato, difficili da convincere ad abbandonare gli obiettivi  criteri di gestione. Essi difficilmente si piegherebbero alle direttive dei maneggioni di partito  a vantaggio degli arrivisti più spregiudicati, sempre pronti a ubbidire a coloro ai quali debbono il posto. Conoscitori delle leggi quanto basta per eluderle senza subirne le conseguenze, sanno come muoversi nella giungla dei bilanci degli enti amministrati per creare fondi a favore dei partiti di riferimento.

“Nessuno potrà mai stabilire quanti miliardi della ricchezza nazionale sono così distrutti per ogni centinaio di milioni che entra nelle tasche degli affaristi politicanti quale compenso per ogni milione che i medesimi signori versano nelle casse dei partiti.

…Il male forse più grave è che molti degli espedienti usati dagli uomini politici per finanziare i partiti non possono essere messi in pratica senza la connivenza dei funzionai preposti ai più importanti servizi pubblici. E, una volta che abbiano aiutato gli uomini politici a tali pratiche camorristiche, i più alti papaveri della burocrazia romana diventano intoccabili. Anche se non hanno voglia di lavorare, anche se sono completamente inadatti ai loro compiti, anche se rubano a man salva, non possono più esser rimossi. Le loro malefatte sono tutte perdonate per timore che vengano altrimenti scoperti dei pericolosi altarini”(Una malattia segreta,Il Mondo 30 agosto 1952, in ibidem,p.42).

Così Ernesto Rossi. Ma se dai primi anni ’50, quando i partiti ancora strutturati, organizzati nella logica delle grandi divisioni di interessi  del mondo sociale e delle idee che li rappresentavano,  seguivano nel procacciarsi denaro  un metodo dotato di una sua perversa giustificazione, veniamo ai nostri giorni, i giorni dei partiti personali senza metodo e senza organizzazione,dobbiamo ammettere che le cose non sono affatto cambiate e anzi sono peggiorate e non soltanto sul piano della logica politica. Ora le cricche che tengono in pugno i partiti si risparmiamo persino di sbandierare gli ideali di una volta, ma si limitano ad accusarsi reciprocamente di tutti i misfatti mentre nell’ombra continuano a spartirsi le spoglie del paese. Con quali risultati il benevolo lettore scoprire nelle pagine del nostro Notiziario sulla partitocrazia.

Novembre 2012

DEMOCRAZIA DIRETTA:IL PASSATO D’ITALIA DIVENTERA’ IL SUO AVVENIRE?

Rivolgersi con spirito nostalgico al passato o sperare in un futuro di giorni migliori sono considerati segni di sfiducia nei confronti del presente o, quantomeno, di non trovarsi a proprio agio tra le sue braccia. Quando poi ci si rivolge contemporaneamente al passato e al futuro si può sospettare che sfiducia e  depressione siano arrivate a livelli mai visti prima. Senza cercare di aggiungere altre spiegazioni sulle cause di una simile condizione, del resto fatte oggetto di studi clinici quanto mai autorevoli, limitiamoci per ora a constatare il fatto e a ricordare alcune espressioni ormai sulla bocca di tutti e persino  vergate sulle sacre pergamene. La più caratteristica di esse riguarda il “popolo sovrano”, il quale, come  i re del passato,non manca di essere circondato da cortigiani deferenti e pronti a ubbidire ad ogni suo cenno, che si avvicinano al suo orecchio a testa bassa per sussurrarvi le parole giuste per entrare nelle grazie della maestà sua e si allontanano camminando a ritroso, come si conviene quando si prende concedo dalla fonte del potere,o forse soltanto per raccogliere  le eventuali grazie lanciate nella loro direzione. Purtroppo, il nuovo sovrano repubblicano, in questo simile a quelli di stampo monarchico di una volta,  sembra occupato in pensieri più importanti che non siano quelli su come tenere a bada il servitorame e far marciare le cose per il verso giusto. All’arte del governo, arte difficile fatta più per rendere corrugata la fronte che per tenerla spianata, preferisce occupazioni più dilettevoli, quali ad esempio sognare le vacanza più esotiche e persino andarci, guardare altri che corrono dietro una palla gonfia d’aria standosene comodamente straiati nel salotto di casa, organizzare cenette con gli amici, correre dietro alle donne. Perciò lascia fare troppe cose ai suoi sorridenti e servizievoli rappresentanti e consiglieri, i quali non mancano di assicurarlo che tutto procede come la maestà sua desidera e che perciò stesse tranquillo, facesse buon pranzo e si godesse la fortuna toccatagli tanto più che a tenerlo informato provvedono inviati ordinari e speciali sguinzagliati in tutti gli angoli del regno e persino del mondo.Paolo Michelotto “La democrazia dei cittadini. Gli esempi reali e di successo, dove i cittadini decidono”
Tanti incoraggiamenti a mandare in vacanza i cattivi pensieri sarebbero stati già sufficienti a destare i sospetti anche dei più spensierati sovrani del tempo andato. Invece il nuovo sovrano non vuole guastarsi la digestione o le vacanze prossime venture con cattivi pensieri, ignorando che a tenerlo informato sulle faccende del regno provvede un “sistema dell’informazione”  per il quale le notizie diventano degne di venir diffuse soltanto dopo che sono passate sulla lingua ruvida dei pescecani che ne sono i proprietari quando sono trovati in grado di nutrire gli affari in corso. Sempre più sistematicamente impegnati nell’arte di montare o smorzare l’indignazione del “grosso pubblico”,  alla luce dei riflettori o nascosti dietro le quinte, direttori e rappresentanti di cartacei o televisivi sistemi non disdegnano di convogliarla nei canali dove scorre l’acqua che fa girare i mulini dei rispettivi padroni abili a scremare degli  utili dove ci siano utili da scremare.
Ma nessuno creda che la vocazione dei potenti al sistema si fermi qui,perché non sono pochi i partiti,amministratori del “bene pubblico”, che aspirano a unire al bene comune anche l’utile proprio. Perciò nel nostro paese pullulano i moralizzatori a tempo pieno i quali non smettono di fare la morale al corso delle cose dalle colonne dei giornali o dinanzi alle telecamere accese, quando sono sotto gli occhi del grosso pubblico. Esperti nell’uso delle parole scorrevoli, liquide, e anche vaporose,le più adatte a prendere la forma degli avvenimenti del giorno, da veri idraulici degli spiriti provvedono  in tutte le ore a tener sgombri i condotti dell’indignazione pubblica, di solito intasati dal molto materiale che i tempi sciagurati in cui viviamo vi accumulano per farvi scorrere le informazioni più utili per loro.
Se questo succede in tempi illuminati come i nostri, quando basta schiacciare un pulsante standosene comodamente sdraiati nel proprio salotto di casa per ricevere le notizie dal mondo intero, si pensi che cosa poteva succedere nei tempi bui, quando la vita si svolgeva all’aria aperta e le notizie potevano correre soltanto di bocca in bocca, stando sull’uscio della bottega o conversando degli avvenimenti del giorno nella pubblica piazza, per bene che andasse  illuminata soltanto dal sole. Eppure, alla luce del sole, o all’ombra delle torri civiche, si scambiavano opinioni e informazioni, ci si arricchiva delle idee degli altri senza impoverirsi delle proprie, prendendo le parole  dal serbatoio dove si accumulavano insieme con i fatti della vita privata e pubblica. Allora persino  l’arringatore delle folle desiderava farsi  capire e parlava di cose sotto gli occhi di tutti, usando la lingua comprensibile ai più. Le azioni cominciavano con le cose e nelle cose finivano, perciò si trovavano esposte ai giudizio personale del cittadino che poteva approvare o disapprovare a ragion veduta. La democrazia diretta,  propria come nelle repubbliche cittadine dove le azioni dei governanti erano sempre sotto gli occhi di tutti, presuppone appunti cittadini, persone in grado di decidere con scienza e coscienza.
Le storiche città italiane meritano di venire studiate nelle forme architettoniche e urbanistiche nelle quali anche  l’osservatore meno attento può scorgere il riflesso di una storia che ha ancora oggi molto da insegnarci. Esse  sono ben altre cose che aggregati di pura vita economica come il disorientato osservatore moderno, paragonandole  alle città odierne, potrebbe supporre, ma offrono l’immagine di un principio di vita più vasto, una vocazione culturale, una volontà  politica che il trascorrere dei secoli può aver indebolito ma non obliterato del tutto.
Oggi non è più il tempo delle piazze assolate, trasformate in parcheggi a pagamento, e delle torri civiche, che si limitano a segnare l’ora per gli uccelli. Se si parla, non si parla di cose uscite dalle proprie mani, incardinate in pensieri e parole chiarite dal senso comune, un senso che non rifugge dal dare voce neanche all’ordine civico, ma di parole fabbricate da menti addestrate a farne le repliche adatte a tutte le teste. Insomma, la sedentaria arte dell’ascolto va alla grande, e in questo non si è schizzinosi soltanto se la notizia à confermata dal rappresentante del nostro partito. In quanto a far parlare le cose, esse tutto possono fare, e lo fanno, ma non sanno comunicare, al massimo trasmettono prescrizioni d’uso.
Tutto viene ingerito, se non digerito, con pari indifferenza, perché in fondo non si da’ nessun credito a parole e avvenimenti giunti sino a noi nelle forme evanescenti di suoni e immagini presto sostituiti da altri suoni e immagini. Persino i disastri nei luoghi più distanti ed esotici, dove i morti e feriti si contano a migliaia, giungono alle nostre orecchie senza penetravi perché presto richiamate ai più urgenti problemi del traffico. In quanto poi ai disastri provocati dalle imprese degli eroi del giorno, iniziate a suon di tromba sulla stampa quotidiana e periodica e poi finite male, dove sono in gioco i nostri soldi, dopo essersi scaricate sulla testa dell’ignaro uomo comune con l’imprevedibilità di un uragano, esaurito  lo scatto di rabbia iniziale non lasciano altro che un sentimento di impotenza, che non è precisamente quanto ci vuole per indurre i responsabili, spesso con nome e cognome, a smettere nelle loro imprese e passare a un lavoro più onesto.
Perciò, con la sparizione dei mondi privati e la sua sostituzione con lo spirito del tempo che è in ogni luogo, diventa inutile alzare barricate dinanzi all’uscio perché o spirito del tempo ci entra inc asa senza nemeno bussare. Lo spirito del tempo va  certamente ascoltato ma, per quanto cerchi di insinuarsi, di ripetere che soltanto lui sa capirci,  tenerlo d’occhio per coglierlo in castagna costituisce ancora la più salutare pratica mentale, senza contare il divertimento assicurato.
Insomma,  non ha senso turasi gli orecchi  ma prima di accettarle, le notizie vanno fatte passare nei crivelli dalla trama sottile perche tra i semi che daranno pane non si mischi anche l’oglio. Ascolteremo con sano sospetto  l’impettito informatore ufficiale, mentre la nostra fiducia andrà alle parole titubanti ancora radicate nelle cose che possiamo vedere e toccare noi stessi, agli interessi che aiutano a nutrire il corpo e alle opinioni che tengono in esercizio la mente e aiutano a farci vedere una questione da tutti i lati. Infatti, si ascolta  non per assorbire le verità degli altri, bensì per opporre opinione a opinioni e, nella lotta, dare a tutte la possibilità di irrobustirsi le ossa.
Per comunicare nella nuova città non è necessario vivere e lavorare gomito a gomito e parlare di cose sotto gli occhi di tutti. Gli interessi si allargano in proporzione  ai mezzi di comunicazione disponibili, alle nuove intraprese umane. La piazza elettronica non è limitata dalle architetture dei palazzi   e dai portici, bensì soltanto dalla coscienza dei propri reali interessi e dalla capacità di dare loro una forma che non rifugge dal confronto con le idee degli altri. Arte sottile questa del confronto, e anche faticosa perché dove non cediamo alle lusinghe di chi  dice di essere dalla nostra parte, anzi, di conoscere quello che siamo e vogliamo meglio di quanto sappiamo fare noi stessi, resta soltanto la fatica di separarci da errori nei quali pure ci riconosciamo.
Nel confronto con questa rete di opinioni sorte dalla vita di ciascuno di noi, dai nostri interessi,  con quelle diffuse coi mezzi più potenti, si riconoscono le trame del nuovo potere, la sua tendenza a  non  chiedere il nostro consenso ma a farci credere di conoscere lui il nostro vero pensiero. Esso, padrone dei mezzi di informazione e intrattenimento, esso veramente non vuole il nostro silenzio, ma lavora per fare delle nostre parole la veridica testimonianza del suo potere di condizionarci.
Per ulteriori approfondimenti: www.umanesimopopolare.org
(Settembre 2012)
DEMOCRAZIA DIRETTA:Per saperne di più
1:N.Bobbio:Il futuro della democrazia, 1984, Einaudi
2:Y.Renouard:Le città italiane dal X al XIV secolo,Vol.1 e 2, 1975, Rizzoli
3:Piero Calamandrei:Lo stato siamo noi, Chiarelettere,2011
4:Thomas Benedikter: Democrazia diretta. Più potere ai cittadini, Sonda Edizioni,2008
5:Carlo Cattaneo:La città considerata come principio ideale delle istorie italiane
6:G.C. Rousseau: Il contratto sociale, Ed. Laterza,1997