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LE RAGIONI DI UN FORUM DEGLI ITALIANI

Le potenze finanziarie e partitiche che controllano l’informazione usano fare un gran rumore attorno a quelle notizie che tornano loro comodo farci conoscere, talché ben pochi di quegli altri fatti che le vede come protagoniste riescono a filtrare il velo di silenzio che le nasconde alla vista del normale cittadino che ne è nel contempo anche vittima. Non discutiamo qui delle tecniche più in voga messe in atto per dare ad ogni notizia la colorazione desiderata, la capacità di  colpire il lettore nell’organo prescelto, quale la paura di perdere il suo o la speranza di acquistare dell’altro.  Serviti  da stuoli di fabbricanti di frasi a pagamento, nella loro costruzione di reti per catturare gli speranzosi pesci  desiderosi soltanto di veder confermate le ragioni dei loro amori o delle loro avversioni, trasformano notizie, che in un mondo normale sarebbero puri fatti di cronaca, in eventi cataclismatici o salvifici, e, da parte opposta, assottigliano le loro imprese che seminano lutti e rovine sino al punto da renderle trasparenti sino all’invisibilità. Il lettore frettoloso  che tutte le mattine vuole sapere se il mondo nel quale  la sera precedente è andato a letto si trova ancora al solito posto, quindi incapace di accorgersi della manovra ordita alle sue spalle, sarà persino grato al suo giornale perché gli racconta con dovizie di particolari l’ultimo episodio scandaloso che ha avuto come protagonista qualche nemico del padrone che paga le spese della carta e dei giornalisti che vi scrivono sopra. Se poi  la manovra mimetica non sortisce gli effetti voluti, c’è sempre quella diversiva, che consiste nel fare dell’ultima impresa amorosa dell’attricetta famosa per esibire i suoi glutei rosei ad ogni occasione un avvenimento del quale è obbligatorio esser informati. Mentre di fronte a tutto questo dichiariamo di non voler gridare allo scandalo ma che, al contrario, lo consideriamo conforme all’ordinario corso delle cose, nel senso di così va il mondo, dichiariamo pure la nostra diffidenza, che confina con l’indipendenza, nei confronti dei  creatori della pubblica  opinione, o, almeno, di quella più alla mano della quale si può parlare al bar o in tram con la speranza di venir compresi .

Esiste infatti un’altra via   per immettersi nelle correnti dove circola lo spirito del mondo, più scorrevole rispetto alla carta stampata. La via di grande traffico delle informazioni, quindi delle verità destinate a durare alcuni secondi, è in funzione in tutte le ore del giorno e della notte, alimentata da quanti vogliono venderci quacosa, dalle notizie del giorno alle verità del secolo, preoccupati di salvare  l’anima di gradi e piccoli. La nuova via non ha le rugosità della carta stampata, con le sue parole pronte a ingoiare il lettore nei secondi sensi ma, scorrevole come la chiacchiera degli imbonitori, fa muovere il lettore in circolo da un’idea fatta all’altra, sistema sublime  per fargli credere che il mondo per lui non ha più segreti, evitando il ricorso alle iniziative personali che non si sa mai come finiscono, quando è più riposante giudicare usando la testa degli altri.

Questo problema del giudicare è molto importante, e noi siamo tra quelli che non lo  prendono  sottogamba, ma, al contrario, lo reputiamo decisivo per quanti non solo vogliono vedere con i propri occhi ma coltivano pure l’ardire di  giudicare con la propria testa, pretesa sempre inquietante per quanti invece coltivano l’arte di dispensare consigli non richiesti.

La comunicazione, che abbiamo visto come fattore alla base del legame sociale, è motivata  dall’interesse comune a scambiare opinioni e informazioni in vista di una chiarificazione reciproca o di una migliorata conoscenza delle  cose. Da qui l’apprezzamento per lo scambio, la richiesta di chiarimenti, l’obiezione,  invece che per  l’l’imbecca, le informazioni che viaggiano in un solo senso, i giudizi preconfezionati nelle catene di montaggio dell’opinione pubblica ai quali non è possibile aggiungere o togliere niente.

Giudicare infatti non può risolversi in una faccenda privata, perché usa il mezzo sociale per eccellenza del linguaggio. D’altra parte, non si può dire che per esprimere un proprio pensiero occorra aspettare di sapere che cosa ne pensa il mondo, o coloro che si dicono suoi padroni. Nel giudicare, il soggetto ha davanti un’esperienza che è  sua e di nessun altro e il suo giudizio raggiungerà l’oggetto al quale è diretto se trova il punto di convergenza tra il non detto delle sue percezioni, e persino l’indicibile, e il troppo detto del quale si alimenta l’opinione pubblica, un’impresa che rende onore alla filosofia come all’arte che se ne occupano. Il giudizio si rivolge al mondo e a noi stessi e si attende di venir giudicato a sua volta dal mondo e dalle persone.  Per questa sua ambivalenza, possiamo dire che si trova nel punto in cui  individuo e società s’incontrano, si riconoscono  e si determinano nelle reciproche caratteristiche. La conclusione da trarre da tutto questo  è che  l’opinione pubblica non costituisce qualcosa di astratto, che riguarda soltanto alcuni poteri che si caricano del fardello di informare e istruire gli ignoranti, ma si forma insieme con quella personale, così come questa cresce con la prima della quale rappresenta il momento molecolare.

Nella comunicazione, sequenza di scambi e di mediazioni, il soggetto giunge a conoscere meglio tanto se stesso che la società e il mondo. Una migliorata conoscenza delle condizioni del mondo e la chiarificazione degli intenti, propri e degli altri, sono fatti per  condizionarsi  a vicenda e si realizzano con l’istituzione di relazioni di natura sociale, comprese quelle relazioni finalizzate allo scambio di valori economici o, per essere più precisi, quegli impegni e patti sui quali si sostiene la vita materiale di tutti, si realizzano organizzazioni finalizzate a qualche scopo comune e si giunge a quelle determinazioni all’origine dei fatti a produrre i quali sono istituite.

 

Bibliografia

G.Mounin: Guida alla linguistica, Feltrinelli, 1982

G.Mounin: Guida alla semantica, Feltrinelli, 1983

G.Calogero:Le regole della democrazia e le ragioni del socialismo, 2012.

 

 

ASTRONOMIA POLITICA

Se vogliamo comprendere qualcosa su quello che sta succedendo nel nostro paese, è inutile sfogliare i giornali, tutti al servizio di qualche generoso capitalista desideroso soltanto di educare il popolo e non, come vanno dicendo i malintenzionati, per far fruttare il suo capitale trafficando in influenze col potere politico che gestisce il pubblico denaro; o, peggio ancora, stravaccarsi dinanzi a uno schermo televisivo che mitraglia parole e immagini in tutte le direzioni e chiama questo imbonimento diurno e notturno servizio di informazione. Meglio darsi all’astronomia, disciplina antica ma che continua a godere del rispetto generale e che certo nessuno confonderebbe con l’astrologia la quale conserva l’abitudine di promettere più di quanto sa di poter mantenere, oggi apprezzata soltanto dalle signore annoiate.
Stando dunque agli studiosi della scienza astrale, una stella, dopo aver esaurito la scorta di idrogeno iniziale, specie di combustibile ideologico dal quale avrebbero inizio tutte le cose, collassa verso il centro per effetto della stessa forza gravitazionale della sua materia, incidente che, addensando le ultime riserve di ideali roventi in uno spazio ristretto, ne esalta il potenziale esplosivo. Il risultato sarà un’espansione della primitiva sfera centinaia di volte il volume normale, nel mentre il colore passa dal giallo, quello che più si confà a una stella nell’esercizio delle sue funzione di luminare del popolo, a un bel rosso vivo che, con le nuove gigantesche dimensioni, le fa meritare il nome di gigante rossa.
Tuttavia, sebbene l’esito faccia distinguere, per la gioia degli astronomi politici, la nostra amica dalle altre stelle, a causa della rarefazione estrema alla quale è giunto lo scoppiettante materiale ideologico degli inizi, essa non irradia più quella luce, combinata a un adeguato flusso di calore, che per l’addietro servivano a illuminare e scaldare i cervelli più pronti ad agitarsi e annunciare buone novelle; decadenza che ha finito per farla confondere con le altre stelle tutte disposte ad indirizzare le anime che svolazzano sui sentieri del mondo in cerca di giorni migliori. La responsabilità di tutto questo non va attribuita al fato o alla storia, venuta meno al suo dovere, che è quello di confermare le previsione di noti astronomi sociali dell’Ottocento, ma alla nota illusione ottica secondo la quale le cose, che da lontano sembrano possedere tutte le attrattive immaginabili, viste da vicino rivelano soltanto i difetti dovuti all’imperizia dei loro creatori. Perciò la nostra gigante rossa, col cervello appesantito dai materiali incombusti di tante battaglie e da quell’entusiasmo artificiale che un giorno non molto lontano faceva risuonare in tutte le nostre piazze slogan incendiari allo scopo di far sorgere il sol dell’avvenire a furia di passeggiate all’aria aperta, deve fare i conti con la cenere degli incendi che nel frattempo si è venuta a depositare sui pensieri dei suoi seguaci. Si cerca ancora di far sprizzare le ultime scintille da frasi che, ripetute ad ogni occasione, ormai si fanno notare per il loro effetto soporifero, preferendo perciò per farle arrivare alle orecchie della gente ai libri indigesti i megafoni che capitalisti di animo progressista e noti per il loro spirito caritatevole mettono a disposizione degli amici del popolo. Talché la stessa crescita del volume e l’amicizia disinteressata dei capitalisti ha consentito alla gigante rossa di penetrare in tutti gli interstizi della società, e quindi occupare le lucrose poltrone dei servizi pubblici, dei ministeri, delle società finanziarie ed editoriali, delle banche e dei sindacati, tutte ormai che brillano della nuova luce vespertina. La stessa consistenza impalpabile e nebulosa raggiunta della sua materia le consente poi di assumere le forme suggerite dalle occasioni del momento, e così l’oggi non sarà mai ritenuto responsabile di quello che è stato fatto ieri.
Tanto affaccendarsi attorno alle banche e alla finanza basta a far dire ai campioni del progresso che la fatidica “forza propulsiva” non è ancora venuta meno e d’altra parte, quando si guarda il mondo standosene seduti su una comoda poltrona ministeriale o finanziaria l’ultima cosa di cui preoccuparsi e quella che riguarda il proprio futuro, soprattutto quando le stelle predicono giorni funesti soltanto per i popoli, notoriamente formato da peccatori contro la storia e per di più all’oscuro su quello che succede nelle sfere celesti.
Ma l’evoluzione di questa nuova specie di stella, nell’Europa civile ben visibile soltanto dal nostro paese, non finisce qui.
A un certo punto la gigante rossa, dimenticati gli slogan battaglieri di una volta, collassa su se stessa e si trasforma in nana bianca che, nonostante la sua piccolezza, continua ad irradiare la slavata sua luce a uso del popolo dai lucrosi posti che le mette a disposizione l’altruistica finanza. E se si aspetta ancora un po’di anni, si potrebbe vedere anche la nana bianca spegnersi e diventare stella di neutroni, una massa senza più luce e calore in eterna rotazione su se stessa tenuta in vita dai vitalizi conquistati nei giorni migliori e da qualche straordinario guadagno extra ottenuto trafficando nel sottobosco della politica.

LA FAVOLA DEI PESCECANI E DEI PESCI ROSSI

Grande subbuglio nel reef. Da un po’ di tempo a questa parte, i tonni e i merluzzi, che erano il pasto preferito dei pescecani, non si fanno più vedere in giro. Rincantucciati in qualche fessure inespugnabile delle rocce, si guardano bene dall’uscirne per fare da pietanza ai pescecani, che ovviamente non possono essere contenti della piega che vanno prendendo le cose. Urge perciò convocare il Gran Consiglio dei pescecani per discutere la grave questione ed eventualmente trovarvi il rimedio. Presiede la riunione, anche in virtù della sua mole e delle sue abitudini alimentari, lo Squalo Balena che subito apre i lavori.
Il primo a prendere la parola è il più noto killer degli oceani, lo Squalo Tigre che secondo le cronache tenne all’affollata assemblea pressappoco questo discorso: “ Esimi colleghi, come ben sapete, siete stati convocati per discutere a fondo la grave questione all’ordine del giorno: la sparizione dal reef dei tonni e dei merluzzi che ci rifornivano di pranzo e cena. Non conosciamo nei dettagli la causa di una simile mancanza di collaborazione da parte di questi signori, ma si può supporre che sia in atto qualche congiura ai nostri danni per privarci del nostro sacrosanto diritto di pasteggiare con carne fresca tutte le volte che ne sentiamo il desiderio. La mia proposta perciò è di mandare in giro squadre di Pesci Martello, armati di bastone e manette, con l’incarico di scovare dai loro nascondigli tutti i tonni e i merluzzi che riescono a trovare e farli finire seduta stante sui nostri piatti”. Gli scrosci di applausi che accompagnarono la fine di questo discorso volevano significare che la proposta aveva toccato il cuore di tutta l’assemblea. Ma non quello dello Squalo Bianco, che infatti chiese la parola che gli fu subito concessa dal gentile presidente.
“Ho ascoltato con attenzione e rispetto la proposta del collega che ha appena parlato, ma mi dispiace di dover dissentire. Mandare in giro squadre di picchiatori non sarebbe una politica abile e si potrebbe ritorcere a nostro danno. Infatti, una tale esibizione di forza e appetito non farebbe altro che allarmare tutti i pesci del reef, che temerebbero di finire nei nostri piatti anche se  è proprio questa la nostra intenzione perché nei pesci piccoli c’è poca sostanza e in quelli armati di guscio non c’è nessuna voglia di collaborare e appena vedono avvicinare uno della nostra specie tirano giù la saracinesca e buona notte al secchio. A mio parere, modesto finché si vuole, una proposta migliore in tale senso, e che per di più non agiterebbe troppo le acque, sarebbe di non andare in giro mettendo in bella mostra tutti i denti di cui madre natura ci ha provvisti, che non è una vista rassicurante per nessuno. Propongo perciò di dipingervi sopra fiori con i colori più vivaci, cosa che non ne limita la capacità di presa e triturazione ma, senza provocare lo spavento generale, farebbero accorrere verso di noi tonni e merluzzi che ora se ne stanno alla larga poco rassicurati dal gentile spettacolo offerto dalla nostra bocca spalancata” .
Anche questa proposta floreale fu accolta con scrosci di applausi non di prammatica.
Dopo varie altre proposte dello stesso tenore, che tuttavia non smossero l’assemblea dal punto morto in cui era caduta, si levò in piedi il rappresentante dei Pesci Rossi che assisteva al dibattito in veste di osservatore e collaboratore esterno. Questi infatti non pescano le loro prede nel reef e nemmeno nei tempestosi fondali oceanici, ma se ne stanno tranquilli sulla terra ferma, vicino alle pubbliche dispense dove sono custoditi i pesci in salamoia che formano il loro pasto abituale, senza contare quelli che dostribuiscono generosamnteai loro amici pescecani, soprattutto quando nessuno sta a guardare. Come  amico e dispensiere dei pescecani aveva quindi le carte in regola per intervenire. Perciò chiese a sua volta la parola che gli fu subito accordata.
“Signor presidente e spettabili rappresentanti di tutte le razze di pescecani, le proposte che ho appena  ascoltato, soprattutto quella di carattereeergico di affidare ai pesci martello il compito di stanare tonni dai nascondigli in cui si sono nascosti, muscolare , mi trovano concorde e forse un giorno, quando non avremo nulla da temere dalla cattiva che un simile comporta,mento co procurererbbe arriveremo ad attuarle, ma reputo, che oggi come oggi, i tempi non siano ancora maturi per imporre con la forza il nostro volere a tutto il reef , ed eventualmente con la somministrazione di massicce dosi di olio di ricino per rendere più convincenti i bastoni e perciò vanno accantonate. Lo stratagemma di camuffare i denti con le immagini di fiori, merita pure il nostro apprezzamento, perché non ci procura molte simpatie andando in giro a bocca spalancata come a dire “vieni qua che ti voglio divorare” e quindi possiamo adottarla se l’occasione lo richiede. Ma la politica migliore, a nostro giudizio, voglio dire a giudizi della congrega dei pesci rossi, quella che possiamo chiamare di svolta, deve prendere tutt’altra direzione. Per non alienarci troppe simpatie e tranquillizzare gli abitanti del reef, siano sardine con poca carne addosso e trascurate da voi, che i grassi tonni, a giudizio di chi vi sta parlando la via migliore sarebbe quella di convincere l’opinione pubblica, con ben orchestrate campagne di propaganda, che i veri benefattori del reef siete voi mentre tonni e merluzzi, che si rifiutano di farsi mangiare, sono soltanto dei reazionari nemici del progresso. Soprattutto le sardine, che sono il cibo preferito di questi ultimi e accorrono in banchi folti per raccogliere le briciole dei vostri pasti, dovrebbero sentirsi rincuorati e persino fare il tifo per voi. Con le masse delle sardine dalla nostra parte, non dovrebbe essere difficile orientare tutto l’opinione pubblica facendo credere che se il vostro cibo preferito sono tonni e merluzzi non siamo mossi dall’appetito ma dalla solidarietà con la massa delle sardine che non fanno parte della vostra dieta in quanto poco consistenti. E se pagate bene i giornalisti, vedrete i miracoli che si possono fare ripetendo questa storiella“.
L’ultimo discorso fu approvato con molti applausi e qualche fischio. Questi ultimi provenienti dal settore occupato dai piccoli squali che, non avendo accesso diretto ai tonni e alla dispensa comune, non erano nelle condizioni di poter disdegnare le sardine .

PER NON FINIRE NEL MONDO DEI PIU’

AVVERTENZA AL LETTORE

Il nostro interesse per la maldicenza, come di chi non è stato invitato a pranzo e dà del venduto ai commensali seduti a banchetto, è anche meno che per  l’accusa di scarso spirito repubblicano a quanti nel distribuire le portate dimostrano di sapere stare al mondo e hanno un occhio di riguardo per i fedeli clienti del padrone, i quali vogliono che i loro servizi siano adeguatamente ricompensati. Invece che fare sfoggio di indignazione a buon mercato dinanzi allo spettacolo ammannito quotidianamente da parte dai generosi e geniali  rappresentanti del popolo  che offrono al vasto pubblico, peraltro dalla bocca buona,  spiegate e impacchettate le soluzioni dei suoi problemi, per dimenticare problemi e soluzioni non appena usciti dallo studio televisivo, e quindi ricominciare il giorno dopo con un altro problema e le relative soluzioni, preferiamo guardare lo strano spettacolo con occhio freddo come di chi si trova dinanzi a un illusionista o prestigiatore e non sta al gioco perché sa che da qualche parte ci deve essere un trucco nascosto. Se il rappresentante racconta che la sua missione nella vita è di entrare nella stanza dei bottoni per poter schiacciare soltanto quelli abilitati a far cadere direttamente nella bocca dell’elettore benefici e facilità di ogni genere, come se si trattassero  di caramelle, e quindi accusare i concorrenti di altro partito di essere mascalzoni rifiniti che  alle distribuzioni preferiscono mettere le mani nelle tasche dello stesso elettore per privarlo del suo, il nostro compito è di mettere in guardia il paziente lettore col ricordargli che non sempre alle parole corrispondo i fatti. Ma questa mancanza di puntualità nei rapporti tra comunicazione e fatti,  non  sarebbe in sé pericolosa  perché imputabile a tutte le parole, che sono parole appunto perché non ci si ritiene ancora pronti per i fatti. Più grave infermità dei discorsi umani, e in particolare di quanti vivono e prosperano spargendo chiacchiere, è quello di confondere le idee invece di chiarirle, di trasmettere il falso solo perché è più accattivante del vero e inoltre procura voti mentre a testimoniare il vero si guadagnano soltanto le maledizioni che dovrebbero colpire i responsabili dei fatti imputati. Ecco perché le orecchie aperte e il cervello vigile sono gli atteggiamenti più apprezzati da quanti sanno stare al mondo e conoscono come le parole siano più disposte a nascondere e a mistificatore, che a testimoniare il  vero la cui unicità lo rende persino difficile da afferrare. Ma lo scopo al quale miriamo non è di alimentare un clima di sospetti, perché nessun discorso va accettato senza prima averne esaminato le credenziali, la sua rispondenza all’oggetto dei cui parla, il grado di fiducia che merita colui che lo produce. Questo atteggiamento vigile, critico, dovrebbe essere proprio di ogni uomo e in ogni circostanza della vita; ancor di più, nella vita di società, e di più ancora quando si ascoltano i discorsi di quanti assicurano di essere in possesso, soltanto loro, dell’unica verità storica e dialettica per giunta. Se non scambiare i propri desideri per fatti veri è segno di maturità mentale e di carattere, non confonderli con i fatti possibili o verosimili sta a rappresentare il confine che separa l’uomo calcolatore da quello destinato a finire nelle reti del ragno per colpa delle sue illusioni. A parziale giustificazione degli illusi, andrebbe aggiunto che, senza una buona dose di illusioni, si può fallire a causa della gracilità delle proprie parole, che notoriamente non nascono tutte con la robusta costituzione dei fatti.

 

I VENDITORI DI FUMO

Sovrapporre ai sorrisi delle grandi occasioni sfoggiati dagli uomini di partito nei manifesti elettorali, che a scadenze regolari fanno bella mostra di sé sui muri delle nostre città, non le loro parole ma  la pratica che   vi dovrebbe corrispondere, non significa certo alimentare il sospetto come di chi, scottato una volta, teme persino la vista dalla fiamma. Piuttosto, pensiamo a quanti  non voglia lasciarsi accalappiare da un incantesimo alla portata di ogni venditore e persino dai commessi di negozio. Pensiamo al nostro come di un atteggiamento salutare, perché se le parole sono qualcosa di più dell’aria mossa nel pronunciarle, lo si deve al fatto che ne richiamano molte altre, necessarie del resto per assicurare di avere le spalle protette da qualche pensiero. Se poi invece dello sfoggio di una dentatura smagliante, di un pelle ben curata, di una capigliatura che ben conosce la mano del barbiere, ci  vengono offerti volti pensosi del pubblico bene, sguardi penetranti per i quali non solo la storia passata, ma nemmeno quella futura non hanno più segreti, il nostro atteggiamento a ricercare le pulci non cambia, come ben sanno che trovarsi bene nel presente non costituisce garanzia di avere un futuro. D’altra parte, la psicologia insegna che tenere lo sguardo fisso su un punto è la tecnica migliore per non vederlo e vedere invece le allucinazioni che già si trovano nella testa.

In ogni caso, le immagini acquistano tanto più discredito quanto più si sforzano di esprimere un pensiero che non le appartiene perché appartiene al messaggio verbale dal quale si fanno accompagnare. Con i suoi ammiccamenti, si propone di stabilire un legame con l’osservatore sulla base di una complicità  nemmeno dichiarata, quindi  con un atto di fede sull’evidenza che nessun  messaggio visivo  è in grado di mantenere. Esso non tanto vuole negare il valore della comunicazione verbale quanto aggirarla e arrivare al nocciolo della questione senza però scoprirsi in che cosa consista la questione. E il gioco va tanto avanti che la menzogna gli è tanto più consustanziale dove la sua verità sembra più indiscutibile, garantita dalla presenza della  persona, dai toni della sua voce, dagli accoramenti per l’ostinazione nell’errore dei nemici, dalle esibizioni di certezza sull’onestà nonché la loro genialità degli amici, che la parola viva, fuggente,  può rappresentare meglio di quanto faccia col vero che ha bisogno di prove e non sparisce appena pronunciata.

Perdere l’antica fede nelle magiche virtù delle parole, convincersi del tramonto definitivo del sol dell’avvenire, può alla fine non risultare un male perché significa guardare alle cose di questo mondo senza le confortevoli illusioni di una volta e quindi andare a letto soltanto per riposare e non per lasciarsi cullare dall’idea del dolce che ci aspetterebbe al risveglio.

 

PARLIAMO DEI SOFISTI

Se sia il caso di mettersi ad accusare il destino cinico e baro se il nostro paese è popolato di demagoghi, esperti nelle arti avvocatesche di far sembrare giusto il discorso peggiore e sbagliato quello migliore, ed è così scarso di statisti,è questione che lasciamo ancora ai cortesi  lettori. In quanto a noi, riteniamo che in un paese che trabocca di avvocati e soltanto nella sua capitale, secondo recenti statistiche,  vivrebbero più avvocati che in tutta la Francia, è logico attendersi che invece di fare la fame in attesa di difendere il condomino offeso nei suoi diritti alla quiete notturna o far ottenere  all’automobilista il risarcimento per le lamiere ammaccate della sua auto, ci siano molti appetiti destati dalla possibilità di maneggiare denaro pubblico, soprattutto dove, nell’ansia di beneficiare amici e padroni non si dimentica la propria famiglia.

Non accusiamo il destino nemmeno  se i  padroni della carta stampata comprano schiere di giornalisti per farci scrivere sopra quello che torna loro più comodo o più a loro onore e più scomodo o più a disdoro dei loro nemici. Anche i letterati del giorno per giorno debbono vivere e se sono abbastanza abili e convincenti nel loro mestiere possono sperare di venire adeguatamente ricompensati. Ecco perché non ci stupiamo dinanzi alla retorica untuosa del politico la cui arte di far credere alla gente quello che la gente vuole credere, ha raggiunto, nel clima di chiacchiera permanente ormai installato nel cielo del nostro paese, vertici inimmaginabili altrove.

Il fatto è che il modo migliore per non far capire  le proprie reali intenzioni non è quello di starsene zitti, ma di avere una spiegazione per tutto e il contrario di tutto, lasciando intendere che si è sempre sul pezzo, in completa tenuta di combattimento quando si tratta di risolvere i “problemi della gente”.

Come non risparmia parole, il demagogo è esperto nell’arte di farle stare in piedi appoggiandole non alle cose, come fanno le persone timorose quando si trovano  nuotare nel grande oceano delle opportunità, ma ad altre parole,che è poi arte sopraffina, da paese di lunga civiltà. Predicando la difesa della libertà o della democrazia sostanziale,le cui chiavi si troverebbero nelle imprescrittibili leggi della storia, rivelate soltanto o lui, ha concorso a che si eclissasse il senso della democrazia formale,a tutto vantaggio delle sostanze dei padroni della stampa e del denaro dai quali i lettori sono istruiti sul bene e sul male,sia quello generale che quello loro particolare. Un affare che non sente nemmeno il bisogno di nascondersi ma viene servito tutte le mattine, , nero su bianco, insieme alla colazione.

Per far apparire il discorso peggiore il migliore o quello migliore il peggiore, il demagogo possiede nella sofistica l’attrezzatura tecnica che fa al caso suo. Perché diventa una pura abilità di combinare parole se l’assembramento sotto le finestre del potente di turno da parte di poche persone, forse prezzolate, per inveire contro le sue malefatte diventa  “protesta della gente”, “dei lavoratori”, “dei giovani”, “delle donne”, “dei pensionati”, “degli studenti” e così via, tutte giustamente indignate. Questo sofisma, che consiste nell’elevare qualche scontentezza particolare di pochi o di molti al cielo dell’idee alla moda, dove possono venir risolti in via di ideologia, è parente stretto dell’altro consistente nel trasformare  un problema, che procura un effettivo malessere nella popolazione, nella “trama della reazione in agguato”.

Ma l’armamentario del demagogo non si limita a queste due manovre verbali per far sparire le questioni scomode  e, viceversa, portare al centro dell’attenzione quelle che gli convengono, e i logici procurano istruzioni a come proteggersi da quanti nei loro ragionamenti sostituiscono associazioni psicologiche e connessioni necessarie tra le proposizioni(I. Copi:Introduzione alla logica,1964, Bologna, Cap. III). Un sofisma  dei più notevoli è detto l’argomentum ad populum, preferito dai propagandisti, venditori, pubblicitari, ecc. che consiste  nel far appello alle passioni dell’uditorio ad associazioni di idee favorevoli all’opinione che difende o contrarie a quelle che attacca. Così a un certo uditorio può venir attribuito la degna qualifica di “popolo” oppure la meno degna, o, veramente,  sospetta qualifica di “popolino” a seconda   se si trova dalla nostra parte o da quella dell’avversario. “Quando il propagandista è contrario ad un cambiamento proposto, insinuerà il sospetto che si tratti di <innovazioni alla moda> ,….Se invece egli è favorevole al cambiamento, sarà per il <progresso> e contrario ai <pregiudizi antiquati>”(p.76). Un altro sofisma, che veramente dà da mangiare a molti difensori di qualche causa, è il cos’ detto ignoratio elenchi che consiste  nel sostituire un’affermazione di principio sulla quale non è possibile dissentire a una questione particolare che si definisce in relazione a qualche preciso contesto: “”Per esempio, quando si discute una particolare proposta di legge sulle case, un legislatore può cominciare a parlare  in suo  favore dimostrando che è auspicabile dare una casa a tutti”(p.86).Come dice Copi, in questi sofismi e negli altri dello stesso genere, la connessione tra le premesse e la conclusione non è di tipo logico ma per provocare la persuasione  si affida a quale suggestione psicologica, muovendo le passioni. Il compito dei sofismi non è di illuminare le menti dissipando  le confusioni che vi suscitano le passioni, e nemmeno di confonderle ancora di più, che sarebbe diabolico, ma di servire al bisogno tutto umano di conquistare qualche vantaggio, come vedremo subito.

 

 

 

I COSTI DELLA POLITICA

Il 2° Rapporto UIL sui costi della politica del luglio 2012, offre un quadro abbastanza completo e attendibile dei costi diretti e indiretti della partitocrazia, ossia, della quota di  ricchezza nazionale di cui i partiti, in un modo o nell’altro, si appropriano e che potrebbe venir impiegata per scopi sociali o produttivi.

Secondo l’ultima inchiesta di questa organizzazione sindacale, oltre 1,1 milioni di persone in Italia vivono direttamente o indirettamente di politica, con una spesa annuale di 23,1 miliardi di euro. Come visto sopra, di queste, 144.000 occupano il loro posto per mandato elettorale, come ministro, parlamentare, consigliere o assessore nelle giunte regionali, provinciali e comunali. Ad essi vanno aggiunti 24. 000 consiglieri di amministrazione delle 6978 società partecipate, con un costo complessivo di 2,6 miliardi di euro l’anno, nonché un esercito di consulenti, perché si deve supporre che consiglieri e politici siano dei perfetti ignoranti nelle questioni amministrative, che comportano una spesa di circa 3 miliardi di euro

La UIL ipotizza che riportando i costi della politica al suo livello fisiologico, si possa realizzare un risparmio di circa 10,4 miliardi di euro l’anno.

Un quadro più completo della pletora di faccendieri che gravitano attorno alla politica, si dovrebbe dire attorno al bilancio pubblico, è riportato nella tabella sottostante.

 

NUMERO DI PERSONE IN POLITICA ENTE PER ENTE(elaborazione UIL)

NUMERO

ENTI

 

Parlamento e governo 1067
Province 3857
Comuni 137.936
CDA aziende pubbliche 24.432
Collegi revisori, collegi sindacali PA e aziende pubbliche 44.165
Personale di supporto politico 38.120
Apparato politico 390.620
Incarichi e consulenze PA e aziende pubbliche 487.949
Totale 1.128.722

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL MODERNO CHE AVANZA

Per farsi un’idea di come nei nostri parlamentari le preoccupazioni per il proprio reddito siano cresciute nel tempo, può tornare  utile confrontare la situazione dei primi anni di vita repubblicana con quelli dei parlamentari di oggi.

Nel primo parlamento nazionale, quello cui sedevano gentucola some Croce, Einaudi, De Gasperi, La Malfa, gli emolumenti comprendevano un’indennità mensile di 65 mila lire, più una diaria di cinquemila lire per ogni giorno di seduta come rimborso spese, in tutto circa 150 mila lire al mese, equivalenti a circa cinque volte il salario medio di un operaio o impiegato. Oggi, il parlamentare gode di indennità mensile di  12.000 euro, più una diaria pure mensile di 4000 euro, che insieme corrispondono a circa 12 stipendi medi (C.Salvi, M.Villone, I costi della democrazia, 2005, pp. 35-6). Senza contare rimborsi spese e agevolazioni varie e senza che la qualità media sia migliorata o la produttività aumentata.

 

LE GIOIE DEL POTERE

A riprova della sollecitudine e sistematicità con le quali molti politici,dimenticate le fatiche e le promesse della campagna elettorale,sanno provvedere alle proprie fortune, basta citare alcuni altri dati, riferibili questa volta alle istituzioni regionali. Il reddito medio pro capite nelle regioni più ricche d’Italia (Trentino Alto Adige, Lombardia,ecc.) è circa il doppio rispetto a quello delle regioni più povere (Calabria, Sicilia)(32.000 euro nelle prime contro 16.000 delle seconde). Di contro, forse a ricompensa delle fatiche spese per amministrare territori in condizioni così disastrate,i consiglieri regionali siciliani hanno ritenuto di aver diritto a un’indennità mensile di 12.434,più una diaria di 4.033 euro, che naturalmente si sono subito assegnati,ben superiori agli emolumenti dei consiglieri lombardi (8.082 e 2.602 euro rispettivamente) (C.Salvi e M.Villone,cit., p.40). Nello stesso tempo,il presidente della regione siciliana ritiene di aver bisogno dei servigi di 23 addetti stampa i quali,a differenza dei 20.000 forestali che si prendono cura di foreste che non ci sono, ma tengono famiglia e vanno regolarmente pagati,si affaticano a ritagliare gli articoli di giornali,a riunirli in raccoglitori e a trasportare questi ultimi da una stanza all’altra.  Si potrebbe continuare rivelando come gli eletti nei consigli provinciali, comunali e circoscrizionali, i consulenti vari,abbiano saputo provvedere ai propri affari,senza dimenticare quelli di amici, parenti e i galoppini elettorali,adeguatamente ricompensati. Il loro esemplare attaccamento alla famiglia e agli amici, dei quali provvedono ad incrementare i cespiti,è dimostrato anche dall’interesse col quale tengono d’occhio le svendite degli appartamenti di lusso da parte degli enti pubblici. Senza dimenticare i tempi grami e la vecchiaia che, si sa, è un  tempo gramo da sé.

Confessiamo di provare una certa invidia nei confronti di chi ha saputo provveder così bene a se stesso e senza dover affrontare gli incerti di una libera professione, dell’industria o del commercio, ma  predicando a destra e a manca di pensare soltanto al “bene della gente”, ossia, proprio quello che la gente vuole sentirsi dire.

 

 

COME TI ERUDISCO IL PUPO

Vogliamo partire col nostro notiziario sulla partitocrazia(termine coniato dal giurista Giuseppe Maranini nel 1949)da alcuni dati grezzi, ma non per questo meno significativi. A guardar bene, nella loro semplicità essi lasciano trasparire, come attraverso un prisma ottico, tutta la potenza devastante di una distorsione della vita economica, sociale e politica del nostro paese per lungo tempo scambiata per condizione di normalità.

Secondo l’Ocse, l’Italia occupa il penultimo posto, tra i paesi che fanno parte di questa organizzazione, per la quota di PIL dedicata alla scuola,il 4,5 % contro il 6 % medio degli altri paesi(dati 2009). In compenso,per la statistica riportata nella tabella sottostante, il numero degli eletti alle cariche pubbliche, regolarmente stipendiati,con i soliti familiari e amici a carico, si aggira intorno a 144.000,circa la somma di tutti gli eletti in tre paese Spagna, Francia e Germania messi insieme. Senza contare l’esercito,anche più numeroso e combattivo di quello dei politici,dei consulenti e degli amministratori pubblici di nomina politica, spesso uomini di partito trombati in qualche turno elettorale,  pure loro con famiglia a seguito con giuste esigenze famigliari a soddisfare.

 

 

 

DETTAGLIANTI E GROSSISTI DELLA POLITICA

”Bisogna in specie sfatare il luogo comune tutto italiano,secondo il quale ci sarebbe un rapporto causale tra partiti forti e corruzione politica. La corruzione si diffuse invece quando i partiti smarrirono la funzione essenziale di concorrere con metodo democratico alla vita politica nazionale,…,e divennero partitocrazia,cioè occupazione del potere. Partiti forti nell’occupare il potere  ma deboli nella loro intima funzione sociale,nella partecipazione popolare,nel consenso profondo” (C. Salvi, M. Villone, cit., p.19). I partiti  deboli diventano preda dei propri boiardi che controllano pacchetti di voti, senza trascurare i poteri economici in grado di trasformare questa debolezza in opportunità da far fruttare a proprio vantaggio. I partiti senza politica, seguendo la loro logica intrinseca, hanno cercato il potere senza badare ai mezzi. Così la partecipazione popolare è stata sostituita dalla ricerca del consenso elettorale senza lesinare in promesse che si sa di non poter mantenere. I partiti senza cultura politica e senza intima adesione popolare hanno fatto ricorso a tecniche di persuasione mutuate dalla pubblicità commerciale, soprattutto a quelle televisive oppure, in modo più riservato, a ricerca del consenso in cambio di favori. Sono nati i partiti personali, le organizzazioni volte a procacciarsi pacchetti di voti con ogni mezzo e da vendere poi al miglior offerente. Questa ci sembra la spiegazione della pletora di liste che ad ogni tornata elettorale troviamo sulle schede, sempre più larghe rispetto alla tornata precedente. Dalla partitocrazia classica degli anni antecedenti l’89, con i suoi partiti compattati dalle ideologie, con i suoi comizi affollati, con le sue parole d’ordine pronte a far scattare il riflesso condizionato dell’applauso e del fischio, si è passati ai partiti cosche che difendono soltanto gli interessi privati del proprio personale dirigente e dei rispettivi portaborse.

 

 

CONCLUSIONI PROVVISORIE

La casta di G.A.Stella e S.Rizzo,il libro di Salvi e Villone su I costi della democrazia,spiegano La Deriva,pure di Stella e Rizzo proprio come quest’ultimo spiega i primi due. La ricerca dei privilegi da parte del personale partitico non si risolve soltanto in un consumo di risorse prodotte col lavoro di tutti ma, il che è ancora peggio,distorce l’azione politica e l’allontana dai suoi specifici compiti,tra i quali possiamo mettere quello di tenere le città pulite dai rifiuti e le strade senza tante buche,nonché assicurare gli ausili ottimali a malati, infanti,puerpere e senescenti, ridurre il numero delle casalinghe scippate del borsellino agli incroci delle strade. Né è da sperare che la politica si riformi da sé, visti i vantaggi che i politicanti ricavano dalla presente situazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POPULISMI E POLITICISMI(Le basi della partitocrazia)

Invece che di popoli, oggi si fa un gran parlare del populismi da parte tanto dei politici di professione che dei rappresentanti dei trust editoriali finanziari dai quali i primi prendono ordini, se si tratta di politici di seconda linea, o contrattano, come fanno quelli di prima linea.  La situazione insolita, o sin troppo solita,  può destare l’allarme di quanti hanno motivo di osservare il progressivo arretramento dei popoli che vanno perdendo sempre più  posizioni oggi giorno che passa e sono costrette a rinunciare a nuove aspettative, in ogni caso merita qualche riflessione. Quanti  non si contentano di ripetere le parole d’ordine messe in circolazione dai signori del denaro, che come lo spirito regnano in terra, in mare, nell’aria e in ogni altro luogo, dandosi a vedere come Jehova soltanto nelle tempeste finanziarie scatenate sulla testa dei popoli che non riconoscono la sua potenza e saggezza, può scorgere l’opera di qualcosa nello stesso tempo  nuovissimo e antichissimo.

Il ruolo eminente di indicare la direzione di marcia della civiltà un giorno era assegnato ai padroni  del vapore, o da coloro che volevano toglierli di mezzo mettendosi al loro posto per far lavorare il vapore a beneficio di tutti e non di pochi.  Purtroppo, da quando nelle nostre contrade  le fabbriche sono state sostituite dai saloni di bellezza e dalle agenzie di viaggi, i popoli non ne vogliono più sapere del vapore e si sono dati ad ascoltare quanti promettono vacanze sempre più lunghe in spiagge sempre più lontane ed assolate o in montagne sempre più alte e innevate. Il tutto, per la gioia delle agenzie bancarie che vanno moltiplicandosi accanto alle agenzie viaggi. La situazione sembrerebbe ideale, o vicino all’ideale, perché in fondo nessuno ha mai creduto veramente alla vecchia favola che bisogna guadagnarsi il pane col sudore della fronte, o che si sia condannati a sudare  nell’età del ferro invece che vivere nell’ età dell’oro, dove se si suda è nelle palestre per smaltire il grasso accumulato con diete eccessive.

Sembrerebbe, perché il passaggio da un mondo di mestieri a uno in cui si attende il fine settimana festivo per sfogare i desideri repressi nei giorni feriali ha avuto anche la conseguenza di  separare l’uomo da quello che fa, dalla conoscenza degli oggetti che usa e quindi anche della  conoscenza di se stesso e degli altri, arte indispensabile per guidarsi e non farsi guidare, nelle cose piccole come in quelle grandi. Senza un vero interesse in ciò che fa, l’uomo motorizzato può  rinviare a data da destinarsi l’incontro con se stesso, il quale peraltro è destinato a sfuggirgli perché, alimentato dal pensiero e dalle opere, dagli incontri e dagli scontri con gli altri, esso non può che deperire in mezzo ad oggetti che non guardano in faccia a nessuno e tantomeno parlano al cuore o alla testa.

In altri tempi la politica era  l’arma di difesa e attacco da parte di un ceto medio istruito e intraprendente  in lotta con un potere monarchico che usciva dalle battaglie e dai tornei medievali, dove al minimo diverbio  si facevano roteare le mazze ferrate, non rispondeva dei suoi atti e tassava senza chiedere  alcun parere ai sudditi ma anzi mandando esattori armati di picche a bussare alle loro porte e imprigionando i renitenti , che non è un bel modo di discutere. Con la politica si voleva superare la frantumazione degli interessi che esponeva  quel ceto alle rapine di un potere che non sapeva e voleva spiegarsi. Insomma, si comprendeva che le pacifiche attività del fare e scambiare possono prosperare soltanto con quell’organizzazione delle volontà individuali con cui moltiplicare la forza di ciascuna di esse. Se sulle sue bandiere scriveva libertà di associazione, di stampa e opinione era perché si riconosceva che la via dell’organizzazione passa per la formazione di un’opinione pubblica, nella quale tutte le opinioni personali, invece di venire rigirate nelle teste dove hanno agio di indurirsi, o confondesi nell’indistinto di un valore medio nel quale le differenze spariscano,  trovano il modo per chiarirsi a se stesse e agli altri e diventare così principio d’azione. Grazie alla sua capacità di saper leggere nei fatti del mondo, capacità che non si acquista certo subendoli bensì  producendoli, questo ceto poteva armarsi di quelle istituzioni di garanzia che rompeva la trama del potere, il suo istinto a far riferimento soltanto su se stesso, e lo costringeva a spiegare e ad ascoltare le spiegazioni dei sudditi.

La premessa ci offre l’occasione per caratterizzare i populismi odierni come quei movimenti in cui si esprimono i sentimenti confusi di una  generalità che nei giorni delle speranze superlative, non molto lontani, si radunava nelle piazze per esprimere  a furia di slogan battaglieri definitive verità storiche e dialettica,  ripetute ogni fine settimana per renderle anche più convincenti. Oggi che gli slogan di una volta non sono più in grado di canalizzare gli scontenti nelle direzioni precise stabilite dai loro creatori,  nessun argine si oppone all’irruzione nelle teste delle passioni che sogliono muovere i popoli, soprattutto quelli dal sangue caldo ma che non lasciano indifferenti nemmeno quelli dal sangue freddo. Il cambiamento non è passato inosservato ai professionisti della spiegazione  che vanno assicurando,  a chi li sta a sentire, che non siamo in presenza di un logica conseguenza del tramonto delle spiegazioni a furia di slogan bensì di una pericolosa degenerazione che ha colpito i popoli ormai orfani delle spiegazioni storiche e dialettiche che un giorno illuminavano le menti e scaldavano i cuori.  Invece di rispettare il profondo istinto dei popoli i quali hanno intuito che la concentrazione degli interessi della quale vediamo ogni giorno gli effetti non può che avvenire a suo danno, essi, alleati con quello della spiegazione a pagamento, vanno ripetendo che è lo spirito di solidarietà, materialistico, cristiano o capitalistico, oggi quanto mai attivo, a volere tutto questo,  mentre  la politica non fa che combinare guai.

Il politicista si presenta dunque come l’esatto contrario, o l’esatto complementare, del populista. Se costui entifica i desideri e timori dei popoli senza preoccuparsi di interpretarli, senza quindi farne con la comunicazione  forze in grado di promuovere  più razionali forme di vita sociale, il politicista si fa un punto d’onore nel coprire con un linguaggio dal vago aroma  politico gli interessi dei poteri che non hanno altra giustificazione che la capacità di pagare coloro che li difendono contro quei popoli ai quali hanno estorto e continuano ad estorcere fatiche e risorse. In altre parole, i  popoli reagiscono istintivamente all’indottrinamento di idee generali e generose  al quale vien sottoposto dal politicista, sospettandovi sotto a ragione qualche secondo fine, ma senza dare ai suoi bisogni una forma tale da trasformarle in scopi e azioni all’altezza dei problemi da cu sono attanagliati.

A questo punto, l’intento del politicista diventa scoperto. Egli non ha soltanto di mira i vantaggi del potere per se stesso e i suoi protettori, ma pensa anche a come  renderli permanenti perché riconosce che il nemico da cui guardarsi è l’organizzazione degli sfruttati, perché ogni volta che si trama contro la politica lo si fa in nome dello sfruttamento delle minoranze organizzate contro la maggioranza disorganizzata.

In ogni caso, l’apparizione nella nostra epoca di entrambi i personaggi segnala il nuovo equilibrio di forze che si va instaurando nell’arena sociale, dove il denaro, finalmente libero da ogni intralcio morale, politico, religioso, e persino dal dovere della spiegazione, può mettere al suo servizio un potere tecnico che per principio rinuncia cercarne.   Rese impenetrabili le decisioni politiche alle normali intelligenze che giudicano dai fatti che percepiscono o che esse stesse contribuiscono a produrre, i partiti diventano associazioni di privati in lotta per conquistare i favori dei signori del denaro, processo che ha acquistato il nome malfamato di partitocrazia.  I politicisti non hanno più nemmeno bisogno di rispondere agli elettori, bastando loro rispondere ai signori del denaro che li sostengono con la loro stampa. Si tratta alla fine di un notevole progresso rispetto alle ingenue richieste di libertà di opinione, di associazione e di stampa che caratterizzavano l’attitudine culturale, sociale e politica del ceto medio agli albori dell’epoca moderna, nonché la sua comprensione che la via dell’emancipazione può passare soltanto per l’organizzazione. Con i mezzi di informazione in mano ai padroni del denaro, nel mondo dei populisti-politicisti le opinioni con diritto alla circolazione saranno soltanto quelle messe che garbano a quanti le producono e ne traggono vantaggio e che nello stesso tempo, fanno capire ai  popoli che le sue disgrazie sono il risultato della sua scarsa propensione, che invece è straboccante nei capitalisti,  ad andare al soccorso di quanti soffrono.