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PER NON FINIRE NEL MONDO DEI PIU’

AVVERTENZA AL LETTORE

Il nostro interesse per la maldicenza, come di chi non è stato invitato a pranzo e dà del venduto ai commensali seduti a banchetto, è anche meno che per  l’accusa di scarso spirito repubblicano a quanti nel distribuire le portate dimostrano di sapere stare al mondo e hanno un occhio di riguardo per i fedeli clienti del padrone, i quali vogliono che i loro servizi siano adeguatamente ricompensati. Invece che fare sfoggio di indignazione a buon mercato dinanzi allo spettacolo ammannito quotidianamente da parte dai generosi e geniali  rappresentanti del popolo  che offrono al vasto pubblico, peraltro dalla bocca buona,  spiegate e impacchettate le soluzioni dei suoi problemi, per dimenticare problemi e soluzioni non appena usciti dallo studio televisivo, e quindi ricominciare il giorno dopo con un altro problema e le relative soluzioni, preferiamo guardare lo strano spettacolo con occhio freddo come di chi si trova dinanzi a un illusionista o prestigiatore e non sta al gioco perché sa che da qualche parte ci deve essere un trucco nascosto. Se il rappresentante racconta che la sua missione nella vita è di entrare nella stanza dei bottoni per poter schiacciare soltanto quelli abilitati a far cadere direttamente nella bocca dell’elettore benefici e facilità di ogni genere, come se si trattassero  di caramelle, e quindi accusare i concorrenti di altro partito di essere mascalzoni rifiniti che  alle distribuzioni preferiscono mettere le mani nelle tasche dello stesso elettore per privarlo del suo, il nostro compito è di mettere in guardia il paziente lettore col ricordargli che non sempre alle parole corrispondo i fatti. Ma questa mancanza di puntualità nei rapporti tra comunicazione e fatti,  non  sarebbe in sé pericolosa  perché imputabile a tutte le parole, che sono parole appunto perché non ci si ritiene ancora pronti per i fatti. Più grave infermità dei discorsi umani, e in particolare di quanti vivono e prosperano spargendo chiacchiere, è quello di confondere le idee invece di chiarirle, di trasmettere il falso solo perché è più accattivante del vero e inoltre procura voti mentre a testimoniare il vero si guadagnano soltanto le maledizioni che dovrebbero colpire i responsabili dei fatti imputati. Ecco perché le orecchie aperte e il cervello vigile sono gli atteggiamenti più apprezzati da quanti sanno stare al mondo e conoscono come le parole siano più disposte a nascondere e a mistificatore, che a testimoniare il  vero la cui unicità lo rende persino difficile da afferrare. Ma lo scopo al quale miriamo non è di alimentare un clima di sospetti, perché nessun discorso va accettato senza prima averne esaminato le credenziali, la sua rispondenza all’oggetto dei cui parla, il grado di fiducia che merita colui che lo produce. Questo atteggiamento vigile, critico, dovrebbe essere proprio di ogni uomo e in ogni circostanza della vita; ancor di più, nella vita di società, e di più ancora quando si ascoltano i discorsi di quanti assicurano di essere in possesso, soltanto loro, dell’unica verità storica e dialettica per giunta. Se non scambiare i propri desideri per fatti veri è segno di maturità mentale e di carattere, non confonderli con i fatti possibili o verosimili sta a rappresentare il confine che separa l’uomo calcolatore da quello destinato a finire nelle reti del ragno per colpa delle sue illusioni. A parziale giustificazione degli illusi, andrebbe aggiunto che, senza una buona dose di illusioni, si può fallire a causa della gracilità delle proprie parole, che notoriamente non nascono tutte con la robusta costituzione dei fatti.

 

I VENDITORI DI FUMO

Sovrapporre ai sorrisi delle grandi occasioni sfoggiati dagli uomini di partito nei manifesti elettorali, che a scadenze regolari fanno bella mostra di sé sui muri delle nostre città, non le loro parole ma  la pratica che   vi dovrebbe corrispondere, non significa certo alimentare il sospetto come di chi, scottato una volta, teme persino la vista dalla fiamma. Piuttosto, pensiamo a quanti  non voglia lasciarsi accalappiare da un incantesimo alla portata di ogni venditore e persino dai commessi di negozio. Pensiamo al nostro come di un atteggiamento salutare, perché se le parole sono qualcosa di più dell’aria mossa nel pronunciarle, lo si deve al fatto che ne richiamano molte altre, necessarie del resto per assicurare di avere le spalle protette da qualche pensiero. Se poi invece dello sfoggio di una dentatura smagliante, di un pelle ben curata, di una capigliatura che ben conosce la mano del barbiere, ci  vengono offerti volti pensosi del pubblico bene, sguardi penetranti per i quali non solo la storia passata, ma nemmeno quella futura non hanno più segreti, il nostro atteggiamento a ricercare le pulci non cambia, come ben sanno che trovarsi bene nel presente non costituisce garanzia di avere un futuro. D’altra parte, la psicologia insegna che tenere lo sguardo fisso su un punto è la tecnica migliore per non vederlo e vedere invece le allucinazioni che già si trovano nella testa.

In ogni caso, le immagini acquistano tanto più discredito quanto più si sforzano di esprimere un pensiero che non le appartiene perché appartiene al messaggio verbale dal quale si fanno accompagnare. Con i suoi ammiccamenti, si propone di stabilire un legame con l’osservatore sulla base di una complicità  nemmeno dichiarata, quindi  con un atto di fede sull’evidenza che nessun  messaggio visivo  è in grado di mantenere. Esso non tanto vuole negare il valore della comunicazione verbale quanto aggirarla e arrivare al nocciolo della questione senza però scoprirsi in che cosa consista la questione. E il gioco va tanto avanti che la menzogna gli è tanto più consustanziale dove la sua verità sembra più indiscutibile, garantita dalla presenza della  persona, dai toni della sua voce, dagli accoramenti per l’ostinazione nell’errore dei nemici, dalle esibizioni di certezza sull’onestà nonché la loro genialità degli amici, che la parola viva, fuggente,  può rappresentare meglio di quanto faccia col vero che ha bisogno di prove e non sparisce appena pronunciata.

Perdere l’antica fede nelle magiche virtù delle parole, convincersi del tramonto definitivo del sol dell’avvenire, può alla fine non risultare un male perché significa guardare alle cose di questo mondo senza le confortevoli illusioni di una volta e quindi andare a letto soltanto per riposare e non per lasciarsi cullare dall’idea del dolce che ci aspetterebbe al risveglio.

 

PARLIAMO DEI SOFISTI

Se sia il caso di mettersi ad accusare il destino cinico e baro se il nostro paese è popolato di demagoghi, esperti nelle arti avvocatesche di far sembrare giusto il discorso peggiore e sbagliato quello migliore, ed è così scarso di statisti,è questione che lasciamo ancora ai cortesi  lettori. In quanto a noi, riteniamo che in un paese che trabocca di avvocati e soltanto nella sua capitale, secondo recenti statistiche,  vivrebbero più avvocati che in tutta la Francia, è logico attendersi che invece di fare la fame in attesa di difendere il condomino offeso nei suoi diritti alla quiete notturna o far ottenere  all’automobilista il risarcimento per le lamiere ammaccate della sua auto, ci siano molti appetiti destati dalla possibilità di maneggiare denaro pubblico, soprattutto dove, nell’ansia di beneficiare amici e padroni non si dimentica la propria famiglia.

Non accusiamo il destino nemmeno  se i  padroni della carta stampata comprano schiere di giornalisti per farci scrivere sopra quello che torna loro più comodo o più a loro onore e più scomodo o più a disdoro dei loro nemici. Anche i letterati del giorno per giorno debbono vivere e se sono abbastanza abili e convincenti nel loro mestiere possono sperare di venire adeguatamente ricompensati. Ecco perché non ci stupiamo dinanzi alla retorica untuosa del politico la cui arte di far credere alla gente quello che la gente vuole credere, ha raggiunto, nel clima di chiacchiera permanente ormai installato nel cielo del nostro paese, vertici inimmaginabili altrove.

Il fatto è che il modo migliore per non far capire  le proprie reali intenzioni non è quello di starsene zitti, ma di avere una spiegazione per tutto e il contrario di tutto, lasciando intendere che si è sempre sul pezzo, in completa tenuta di combattimento quando si tratta di risolvere i “problemi della gente”.

Come non risparmia parole, il demagogo è esperto nell’arte di farle stare in piedi appoggiandole non alle cose, come fanno le persone timorose quando si trovano  nuotare nel grande oceano delle opportunità, ma ad altre parole,che è poi arte sopraffina, da paese di lunga civiltà. Predicando la difesa della libertà o della democrazia sostanziale,le cui chiavi si troverebbero nelle imprescrittibili leggi della storia, rivelate soltanto o lui, ha concorso a che si eclissasse il senso della democrazia formale,a tutto vantaggio delle sostanze dei padroni della stampa e del denaro dai quali i lettori sono istruiti sul bene e sul male,sia quello generale che quello loro particolare. Un affare che non sente nemmeno il bisogno di nascondersi ma viene servito tutte le mattine, , nero su bianco, insieme alla colazione.

Per far apparire il discorso peggiore il migliore o quello migliore il peggiore, il demagogo possiede nella sofistica l’attrezzatura tecnica che fa al caso suo. Perché diventa una pura abilità di combinare parole se l’assembramento sotto le finestre del potente di turno da parte di poche persone, forse prezzolate, per inveire contro le sue malefatte diventa  “protesta della gente”, “dei lavoratori”, “dei giovani”, “delle donne”, “dei pensionati”, “degli studenti” e così via, tutte giustamente indignate. Questo sofisma, che consiste nell’elevare qualche scontentezza particolare di pochi o di molti al cielo dell’idee alla moda, dove possono venir risolti in via di ideologia, è parente stretto dell’altro consistente nel trasformare  un problema, che procura un effettivo malessere nella popolazione, nella “trama della reazione in agguato”.

Ma l’armamentario del demagogo non si limita a queste due manovre verbali per far sparire le questioni scomode  e, viceversa, portare al centro dell’attenzione quelle che gli convengono, e i logici procurano istruzioni a come proteggersi da quanti nei loro ragionamenti sostituiscono associazioni psicologiche e connessioni necessarie tra le proposizioni(I. Copi:Introduzione alla logica,1964, Bologna, Cap. III). Un sofisma  dei più notevoli è detto l’argomentum ad populum, preferito dai propagandisti, venditori, pubblicitari, ecc. che consiste  nel far appello alle passioni dell’uditorio ad associazioni di idee favorevoli all’opinione che difende o contrarie a quelle che attacca. Così a un certo uditorio può venir attribuito la degna qualifica di “popolo” oppure la meno degna, o, veramente,  sospetta qualifica di “popolino” a seconda   se si trova dalla nostra parte o da quella dell’avversario. “Quando il propagandista è contrario ad un cambiamento proposto, insinuerà il sospetto che si tratti di <innovazioni alla moda> ,….Se invece egli è favorevole al cambiamento, sarà per il <progresso> e contrario ai <pregiudizi antiquati>”(p.76). Un altro sofisma, che veramente dà da mangiare a molti difensori di qualche causa, è il cos’ detto ignoratio elenchi che consiste  nel sostituire un’affermazione di principio sulla quale non è possibile dissentire a una questione particolare che si definisce in relazione a qualche preciso contesto: “”Per esempio, quando si discute una particolare proposta di legge sulle case, un legislatore può cominciare a parlare  in suo  favore dimostrando che è auspicabile dare una casa a tutti”(p.86).Come dice Copi, in questi sofismi e negli altri dello stesso genere, la connessione tra le premesse e la conclusione non è di tipo logico ma per provocare la persuasione  si affida a quale suggestione psicologica, muovendo le passioni. Il compito dei sofismi non è di illuminare le menti dissipando  le confusioni che vi suscitano le passioni, e nemmeno di confonderle ancora di più, che sarebbe diabolico, ma di servire al bisogno tutto umano di conquistare qualche vantaggio, come vedremo subito.

 

 

 

I COSTI DELLA POLITICA

Il 2° Rapporto UIL sui costi della politica del luglio 2012, offre un quadro abbastanza completo e attendibile dei costi diretti e indiretti della partitocrazia, ossia, della quota di  ricchezza nazionale di cui i partiti, in un modo o nell’altro, si appropriano e che potrebbe venir impiegata per scopi sociali o produttivi.

Secondo l’ultima inchiesta di questa organizzazione sindacale, oltre 1,1 milioni di persone in Italia vivono direttamente o indirettamente di politica, con una spesa annuale di 23,1 miliardi di euro. Come visto sopra, di queste, 144.000 occupano il loro posto per mandato elettorale, come ministro, parlamentare, consigliere o assessore nelle giunte regionali, provinciali e comunali. Ad essi vanno aggiunti 24. 000 consiglieri di amministrazione delle 6978 società partecipate, con un costo complessivo di 2,6 miliardi di euro l’anno, nonché un esercito di consulenti, perché si deve supporre che consiglieri e politici siano dei perfetti ignoranti nelle questioni amministrative, che comportano una spesa di circa 3 miliardi di euro

La UIL ipotizza che riportando i costi della politica al suo livello fisiologico, si possa realizzare un risparmio di circa 10,4 miliardi di euro l’anno.

Un quadro più completo della pletora di faccendieri che gravitano attorno alla politica, si dovrebbe dire attorno al bilancio pubblico, è riportato nella tabella sottostante.

 

NUMERO DI PERSONE IN POLITICA ENTE PER ENTE(elaborazione UIL)

NUMERO

ENTI

 

Parlamento e governo 1067
Province 3857
Comuni 137.936
CDA aziende pubbliche 24.432
Collegi revisori, collegi sindacali PA e aziende pubbliche 44.165
Personale di supporto politico 38.120
Apparato politico 390.620
Incarichi e consulenze PA e aziende pubbliche 487.949
Totale 1.128.722

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL MODERNO CHE AVANZA

Per farsi un’idea di come nei nostri parlamentari le preoccupazioni per il proprio reddito siano cresciute nel tempo, può tornare  utile confrontare la situazione dei primi anni di vita repubblicana con quelli dei parlamentari di oggi.

Nel primo parlamento nazionale, quello cui sedevano gentucola some Croce, Einaudi, De Gasperi, La Malfa, gli emolumenti comprendevano un’indennità mensile di 65 mila lire, più una diaria di cinquemila lire per ogni giorno di seduta come rimborso spese, in tutto circa 150 mila lire al mese, equivalenti a circa cinque volte il salario medio di un operaio o impiegato. Oggi, il parlamentare gode di indennità mensile di  12.000 euro, più una diaria pure mensile di 4000 euro, che insieme corrispondono a circa 12 stipendi medi (C.Salvi, M.Villone, I costi della democrazia, 2005, pp. 35-6). Senza contare rimborsi spese e agevolazioni varie e senza che la qualità media sia migliorata o la produttività aumentata.

 

LE GIOIE DEL POTERE

A riprova della sollecitudine e sistematicità con le quali molti politici,dimenticate le fatiche e le promesse della campagna elettorale,sanno provvedere alle proprie fortune, basta citare alcuni altri dati, riferibili questa volta alle istituzioni regionali. Il reddito medio pro capite nelle regioni più ricche d’Italia (Trentino Alto Adige, Lombardia,ecc.) è circa il doppio rispetto a quello delle regioni più povere (Calabria, Sicilia)(32.000 euro nelle prime contro 16.000 delle seconde). Di contro, forse a ricompensa delle fatiche spese per amministrare territori in condizioni così disastrate,i consiglieri regionali siciliani hanno ritenuto di aver diritto a un’indennità mensile di 12.434,più una diaria di 4.033 euro, che naturalmente si sono subito assegnati,ben superiori agli emolumenti dei consiglieri lombardi (8.082 e 2.602 euro rispettivamente) (C.Salvi e M.Villone,cit., p.40). Nello stesso tempo,il presidente della regione siciliana ritiene di aver bisogno dei servigi di 23 addetti stampa i quali,a differenza dei 20.000 forestali che si prendono cura di foreste che non ci sono, ma tengono famiglia e vanno regolarmente pagati,si affaticano a ritagliare gli articoli di giornali,a riunirli in raccoglitori e a trasportare questi ultimi da una stanza all’altra.  Si potrebbe continuare rivelando come gli eletti nei consigli provinciali, comunali e circoscrizionali, i consulenti vari,abbiano saputo provvedere ai propri affari,senza dimenticare quelli di amici, parenti e i galoppini elettorali,adeguatamente ricompensati. Il loro esemplare attaccamento alla famiglia e agli amici, dei quali provvedono ad incrementare i cespiti,è dimostrato anche dall’interesse col quale tengono d’occhio le svendite degli appartamenti di lusso da parte degli enti pubblici. Senza dimenticare i tempi grami e la vecchiaia che, si sa, è un  tempo gramo da sé.

Confessiamo di provare una certa invidia nei confronti di chi ha saputo provveder così bene a se stesso e senza dover affrontare gli incerti di una libera professione, dell’industria o del commercio, ma  predicando a destra e a manca di pensare soltanto al “bene della gente”, ossia, proprio quello che la gente vuole sentirsi dire.

 

 

COME TI ERUDISCO IL PUPO

Vogliamo partire col nostro notiziario sulla partitocrazia(termine coniato dal giurista Giuseppe Maranini nel 1949)da alcuni dati grezzi, ma non per questo meno significativi. A guardar bene, nella loro semplicità essi lasciano trasparire, come attraverso un prisma ottico, tutta la potenza devastante di una distorsione della vita economica, sociale e politica del nostro paese per lungo tempo scambiata per condizione di normalità.

Secondo l’Ocse, l’Italia occupa il penultimo posto, tra i paesi che fanno parte di questa organizzazione, per la quota di PIL dedicata alla scuola,il 4,5 % contro il 6 % medio degli altri paesi(dati 2009). In compenso,per la statistica riportata nella tabella sottostante, il numero degli eletti alle cariche pubbliche, regolarmente stipendiati,con i soliti familiari e amici a carico, si aggira intorno a 144.000,circa la somma di tutti gli eletti in tre paese Spagna, Francia e Germania messi insieme. Senza contare l’esercito,anche più numeroso e combattivo di quello dei politici,dei consulenti e degli amministratori pubblici di nomina politica, spesso uomini di partito trombati in qualche turno elettorale,  pure loro con famiglia a seguito con giuste esigenze famigliari a soddisfare.

 

 

 

DETTAGLIANTI E GROSSISTI DELLA POLITICA

”Bisogna in specie sfatare il luogo comune tutto italiano,secondo il quale ci sarebbe un rapporto causale tra partiti forti e corruzione politica. La corruzione si diffuse invece quando i partiti smarrirono la funzione essenziale di concorrere con metodo democratico alla vita politica nazionale,…,e divennero partitocrazia,cioè occupazione del potere. Partiti forti nell’occupare il potere  ma deboli nella loro intima funzione sociale,nella partecipazione popolare,nel consenso profondo” (C. Salvi, M. Villone, cit., p.19). I partiti  deboli diventano preda dei propri boiardi che controllano pacchetti di voti, senza trascurare i poteri economici in grado di trasformare questa debolezza in opportunità da far fruttare a proprio vantaggio. I partiti senza politica, seguendo la loro logica intrinseca, hanno cercato il potere senza badare ai mezzi. Così la partecipazione popolare è stata sostituita dalla ricerca del consenso elettorale senza lesinare in promesse che si sa di non poter mantenere. I partiti senza cultura politica e senza intima adesione popolare hanno fatto ricorso a tecniche di persuasione mutuate dalla pubblicità commerciale, soprattutto a quelle televisive oppure, in modo più riservato, a ricerca del consenso in cambio di favori. Sono nati i partiti personali, le organizzazioni volte a procacciarsi pacchetti di voti con ogni mezzo e da vendere poi al miglior offerente. Questa ci sembra la spiegazione della pletora di liste che ad ogni tornata elettorale troviamo sulle schede, sempre più larghe rispetto alla tornata precedente. Dalla partitocrazia classica degli anni antecedenti l’89, con i suoi partiti compattati dalle ideologie, con i suoi comizi affollati, con le sue parole d’ordine pronte a far scattare il riflesso condizionato dell’applauso e del fischio, si è passati ai partiti cosche che difendono soltanto gli interessi privati del proprio personale dirigente e dei rispettivi portaborse.

 

 

CONCLUSIONI PROVVISORIE

La casta di G.A.Stella e S.Rizzo,il libro di Salvi e Villone su I costi della democrazia,spiegano La Deriva,pure di Stella e Rizzo proprio come quest’ultimo spiega i primi due. La ricerca dei privilegi da parte del personale partitico non si risolve soltanto in un consumo di risorse prodotte col lavoro di tutti ma, il che è ancora peggio,distorce l’azione politica e l’allontana dai suoi specifici compiti,tra i quali possiamo mettere quello di tenere le città pulite dai rifiuti e le strade senza tante buche,nonché assicurare gli ausili ottimali a malati, infanti,puerpere e senescenti, ridurre il numero delle casalinghe scippate del borsellino agli incroci delle strade. Né è da sperare che la politica si riformi da sé, visti i vantaggi che i politicanti ricavano dalla presente situazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEMOCRAZIA E CONTROLLI(I sogni finiscono al risveglio)

  Per prendere i pesci, non basta armarsi di amo, dall’aspetto troppo minaccioso per attirare qualcuno degli abitanti del vasto mare. Occorre invece coprire la sua punta di esca, meglio se commestibile e fresca, consiglio inutile se rivolto agli uomini dei partiti perché lo mettono in pratica da sé quando vogliono catturare i pesci. Da qui l’aria di imbonitori da fiera che hanno i nostri politici quando appaiono dinanzi al popolo sovrano, la capacità di dire esattamente quello che il vasto pubblico desidera ascoltare, di far sognare con abili combinazioni di parole(dai,facci sognare! è il pensiero trasmesso dai volti assonnati in attesa dinanzi agli schermi televisivi o ai palchi all’aperto dove si usa spendere parte del tempo durante le serate estive), con la prospettiva di benefici che discenderebbero sul cittadino elettore una volta instaurato il regno della giustizia e del progresso sociale, naturalmente logica conseguenza della conquista del potere ad opera del nostro partito e della condanna all’ignominia e all’astinenza dell’opposizione di quello avversario, ignobile fautore dell’ingiustizia e del regresso. Così, a furia di assicurazione sul nuovo ordine prossimo venturo, quello che avrebbe risolto in maniera definitiva tutti i problemi del passato e persino impedito il ripresentarsi di quelli nuovi nel futuro, ci ritroviamo senza la minima ombra di progresso, a meno che non si voglia chiamar tale un debito pubblico che non smette di crescere e il peso fiscale più alto del mondo che si aggiunge al debito senza alleviarlo e  gravante sulle spalle del cittadino elettore  che non può ricoverare i suoi guadagni in qualche paradiso fiscale, frequentati viceversa da quanti sono qualificati come  benefattori del popolo dai giornali di loro proprietà o comproprietà, poco importa.
  Questi inconvenienti  non fanno che aumentare gli sforzi dei politici per trovare dei sostituti delle vecchie idee di progresso, nonché nuovi nemici da identificare come i responsabili del regresso sotto gli occhi di tutti, ai quali attribuire pure, a beneficio di chi non regredisce,  le colpe del degrado morale fatalmente in agguato, vale a dire il partito diverso dal nostro. Insomma, siamo sempre nel regno delle favole raccontate ai bambini ansiosi di crederci, della buone fatine e degli orchi malvagi, del mondo migliore da conquistare con energiche marce in avanti, nonostante tanta gente si ostini a volersene restare laicamente seduti per pensare ai fatti propri e chiacchierare di questo e di quello.
  C’è da chiedersi da dove viene questa secolare propensione della nostra gente a dare ascolto alle favole più disarmanti e perciò più popolari, a bere come oro colato le parole degli imbonitori di piazza, i dispensatori di aggettivi trasformati in sostantivi ma senza altra sostanza che non sia quella del loro suono. Perché non si sviluppa e diventa popolare il rispetto dei fatti, la tendenza a saggiare sulla loro ruvida scorza le parole prima di metterle in circolazione per provare la regolarità del loro conio? Perché si continua a sognare al suono delle parole, ad accendersi di indignazione alla retorica dei comizi, invece di guardare i risultati delle promesse, cercare di  scoprire  se il loro metabolismo è regolare, se non ingurgitano troppo cibo in relazione alla magrezza dei risultati.
  Si dirà che in un paese dove sono fioriti il sonetto e il melodramma non è facile sottovalutare la retorica. Inoltre, le occupazioni straniere vi hanno avuto come conseguenza anche la crescita dell’importanza delle parole come sostitute di fatti, vietati da polizie, eserciti di occupazione e preti. Ma qui non è questione di facilità, bensì di sopravvivenza, perché le parole liberate dall’obbligo di corrispondere ai fatti diventano disponibili a tutte le manovre a nostro danno. Infatti, le parole in libertà, fuori del controllo empirico, sono destinate prima o poi a mettere fuori controllo le teste, che è quanto vogliono i gestori del potere per continuare a gestire come a loro meglio piace il bilancio.
  Perciò, soltanto una prolungata assuefazione all’inganno può far credere ai più che la democrazia sia una questione di parole, eventualmente accompagnate con bandiere al vento, sfilate nelle pubbliche strade e assembramenti nelle piazze principali di paesi e città. Se il suono carezzevole delle parole promette all’affaticato e al depresso giorni migliori e persino euforici, lo stesso fanno i narcotici, propinati a giovani e adulti, lavoratori e disoccupati. Visto dai disagi dell’oggi, il domani è sempre un giorno migliore e i propagandisti di partito appartengono alla classe delle mosche astute, capaci di far credere che il carro si muove per merito loro e non dei buoi legati alle stanghe. Tuttavia, per l’uomo di partito, se non finisce in carcere, il domani sarà senz’altro migliore di oggi perché quello sarà il tempo in cui potrà raccogliere il frutto dalla trama tessuta oggi. Questo vuol dire che la democrazia è il regno dove il falso ha libera circolazione? Non lo crediamo, o almeno non è più libero che sotto altri regimi. Vogliamo invece dire che soltanto nella democrazia il falso può venire scoperto è denunciato senza corrore il pericolo dell’arresto in flagranza di reato. Essa ha soprattutto bisogno di controlli dal basso, da chi ne paga le spese, non di propagandisti dei partiti il cui scopo è sempre il potere e la sua gestione, soprattutto il suo simbolo visibile, il denaro. La democrazia ha quindi le sue vittime e i suoi beneficiari, è oggi le prime stanno per diventare maggioranza. Questo apre a nuove possibilità, crea un bisogno di informazione e partecipazione sconosciuta nel passato, quando la promessa di partecipare alle spartizioni bastava per crearsi negli elettori una provvisoria platea di complici interessati. Senza un efficace sistema di controllo fatto di informazioni e azione, il potere diventa inevitabilmente abuso e la democrazia degenera nel governo dei partiti a proprio vantaggio, in partitocrazia.
  Il controllo degli abusi di potere è scritto sulla bandiera del liberalismo sin dal suo sorgere, quando la società civile doveva confrontarsi con una tradizione di abusi materializzata nel potere autocratico del monarca (G.De Ruggiero:Storia del liberalismo europeo,Bari).La rivoluzione costituzionale inglese aveva come programma di sottrarre al re la facoltà di imporre tasse  e spendere il denaro pubblico senza rispondere a nessuno. Ma perché il contribuente arrivasse a controllare la tassazione e la spesa pubblica, la testa di un re è dovuta cadere per sancire un principio nuovo: l’uomo comune non è più disposto a restare suddito. Una rivoluzione si è compiuta,  certo con i colori meno rutilanti delle tante rivoluzioni agitate nel nostro paese nel recente passato e invece di discorsi accesi si alimentava di freddi calcoli,  di prese di posizione sostenute dalla volontà di proteggere la borsa dall’agente delle tasse e dal birro che gli veniva dietro. Informazioni controllabili e  freddi calcoli piuttosto che le frasi accese ci sembrano però  l’unica soluzione dei mali di un paese dove la malafede si copre spesso di unzione e la volontà di prevaricazione in concessione a una sciatteria coltivata con arte per dividere le colpe e distogliere così lo sguardo dai veri responsabili.

 

Maggio 2013

 

 

DEMOCRAZIA DIRETTA:IL PASSATO D’ITALIA DIVENTERA’ IL SUO AVVENIRE?

Rivolgersi con spirito nostalgico al passato o sperare in un futuro di giorni migliori sono considerati segni di sfiducia nei confronti del presente o, quantomeno, di non trovarsi a proprio agio tra le sue braccia. Quando poi ci si rivolge contemporaneamente al passato e al futuro si può sospettare che sfiducia e  depressione siano arrivate a livelli mai visti prima. Senza cercare di aggiungere altre spiegazioni sulle cause di una simile condizione, del resto fatte oggetto di studi clinici quanto mai autorevoli, limitiamoci per ora a constatare il fatto e a ricordare alcune espressioni ormai sulla bocca di tutti e persino  vergate sulle sacre pergamene. La più caratteristica di esse riguarda il “popolo sovrano”, il quale, come  i re del passato,non manca di essere circondato da cortigiani deferenti e pronti a ubbidire ad ogni suo cenno, che si avvicinano al suo orecchio a testa bassa per sussurrarvi le parole giuste per entrare nelle grazie della maestà sua e si allontanano camminando a ritroso, come si conviene quando si prende concedo dalla fonte del potere,o forse soltanto per raccogliere  le eventuali grazie lanciate nella loro direzione. Purtroppo, il nuovo sovrano repubblicano, in questo simile a quelli di stampo monarchico di una volta,  sembra occupato in pensieri più importanti che non siano quelli su come tenere a bada il servitorame e far marciare le cose per il verso giusto. All’arte del governo, arte difficile fatta più per rendere corrugata la fronte che per tenerla spianata, preferisce occupazioni più dilettevoli, quali ad esempio sognare le vacanza più esotiche e persino andarci, guardare altri che corrono dietro una palla gonfia d’aria standosene comodamente straiati nel salotto di casa, organizzare cenette con gli amici, correre dietro alle donne. Perciò lascia fare troppe cose ai suoi sorridenti e servizievoli rappresentanti e consiglieri, i quali non mancano di assicurarlo che tutto procede come la maestà sua desidera e che perciò stesse tranquillo, facesse buon pranzo e si godesse la fortuna toccatagli tanto più che a tenerlo informato provvedono inviati ordinari e speciali sguinzagliati in tutti gli angoli del regno e persino del mondo.Paolo Michelotto “La democrazia dei cittadini. Gli esempi reali e di successo, dove i cittadini decidono”
Tanti incoraggiamenti a mandare in vacanza i cattivi pensieri sarebbero stati già sufficienti a destare i sospetti anche dei più spensierati sovrani del tempo andato. Invece il nuovo sovrano non vuole guastarsi la digestione o le vacanze prossime venture con cattivi pensieri, ignorando che a tenerlo informato sulle faccende del regno provvede un “sistema dell’informazione”  per il quale le notizie diventano degne di venir diffuse soltanto dopo che sono passate sulla lingua ruvida dei pescecani che ne sono i proprietari quando sono trovati in grado di nutrire gli affari in corso. Sempre più sistematicamente impegnati nell’arte di montare o smorzare l’indignazione del “grosso pubblico”,  alla luce dei riflettori o nascosti dietro le quinte, direttori e rappresentanti di cartacei o televisivi sistemi non disdegnano di convogliarla nei canali dove scorre l’acqua che fa girare i mulini dei rispettivi padroni abili a scremare degli  utili dove ci siano utili da scremare.
Ma nessuno creda che la vocazione dei potenti al sistema si fermi qui,perché non sono pochi i partiti,amministratori del “bene pubblico”, che aspirano a unire al bene comune anche l’utile proprio. Perciò nel nostro paese pullulano i moralizzatori a tempo pieno i quali non smettono di fare la morale al corso delle cose dalle colonne dei giornali o dinanzi alle telecamere accese, quando sono sotto gli occhi del grosso pubblico. Esperti nell’uso delle parole scorrevoli, liquide, e anche vaporose,le più adatte a prendere la forma degli avvenimenti del giorno, da veri idraulici degli spiriti provvedono  in tutte le ore a tener sgombri i condotti dell’indignazione pubblica, di solito intasati dal molto materiale che i tempi sciagurati in cui viviamo vi accumulano per farvi scorrere le informazioni più utili per loro.
Se questo succede in tempi illuminati come i nostri, quando basta schiacciare un pulsante standosene comodamente sdraiati nel proprio salotto di casa per ricevere le notizie dal mondo intero, si pensi che cosa poteva succedere nei tempi bui, quando la vita si svolgeva all’aria aperta e le notizie potevano correre soltanto di bocca in bocca, stando sull’uscio della bottega o conversando degli avvenimenti del giorno nella pubblica piazza, per bene che andasse  illuminata soltanto dal sole. Eppure, alla luce del sole, o all’ombra delle torri civiche, si scambiavano opinioni e informazioni, ci si arricchiva delle idee degli altri senza impoverirsi delle proprie, prendendo le parole  dal serbatoio dove si accumulavano insieme con i fatti della vita privata e pubblica. Allora persino  l’arringatore delle folle desiderava farsi  capire e parlava di cose sotto gli occhi di tutti, usando la lingua comprensibile ai più. Le azioni cominciavano con le cose e nelle cose finivano, perciò si trovavano esposte ai giudizio personale del cittadino che poteva approvare o disapprovare a ragion veduta. La democrazia diretta,  propria come nelle repubbliche cittadine dove le azioni dei governanti erano sempre sotto gli occhi di tutti, presuppone appunti cittadini, persone in grado di decidere con scienza e coscienza.
Le storiche città italiane meritano di venire studiate nelle forme architettoniche e urbanistiche nelle quali anche  l’osservatore meno attento può scorgere il riflesso di una storia che ha ancora oggi molto da insegnarci. Esse  sono ben altre cose che aggregati di pura vita economica come il disorientato osservatore moderno, paragonandole  alle città odierne, potrebbe supporre, ma offrono l’immagine di un principio di vita più vasto, una vocazione culturale, una volontà  politica che il trascorrere dei secoli può aver indebolito ma non obliterato del tutto.
Oggi non è più il tempo delle piazze assolate, trasformate in parcheggi a pagamento, e delle torri civiche, che si limitano a segnare l’ora per gli uccelli. Se si parla, non si parla di cose uscite dalle proprie mani, incardinate in pensieri e parole chiarite dal senso comune, un senso che non rifugge dal dare voce neanche all’ordine civico, ma di parole fabbricate da menti addestrate a farne le repliche adatte a tutte le teste. Insomma, la sedentaria arte dell’ascolto va alla grande, e in questo non si è schizzinosi soltanto se la notizia à confermata dal rappresentante del nostro partito. In quanto a far parlare le cose, esse tutto possono fare, e lo fanno, ma non sanno comunicare, al massimo trasmettono prescrizioni d’uso.
Tutto viene ingerito, se non digerito, con pari indifferenza, perché in fondo non si da’ nessun credito a parole e avvenimenti giunti sino a noi nelle forme evanescenti di suoni e immagini presto sostituiti da altri suoni e immagini. Persino i disastri nei luoghi più distanti ed esotici, dove i morti e feriti si contano a migliaia, giungono alle nostre orecchie senza penetravi perché presto richiamate ai più urgenti problemi del traffico. In quanto poi ai disastri provocati dalle imprese degli eroi del giorno, iniziate a suon di tromba sulla stampa quotidiana e periodica e poi finite male, dove sono in gioco i nostri soldi, dopo essersi scaricate sulla testa dell’ignaro uomo comune con l’imprevedibilità di un uragano, esaurito  lo scatto di rabbia iniziale non lasciano altro che un sentimento di impotenza, che non è precisamente quanto ci vuole per indurre i responsabili, spesso con nome e cognome, a smettere nelle loro imprese e passare a un lavoro più onesto.
Perciò, con la sparizione dei mondi privati e la sua sostituzione con lo spirito del tempo che è in ogni luogo, diventa inutile alzare barricate dinanzi all’uscio perché o spirito del tempo ci entra inc asa senza nemeno bussare. Lo spirito del tempo va  certamente ascoltato ma, per quanto cerchi di insinuarsi, di ripetere che soltanto lui sa capirci,  tenerlo d’occhio per coglierlo in castagna costituisce ancora la più salutare pratica mentale, senza contare il divertimento assicurato.
Insomma,  non ha senso turasi gli orecchi  ma prima di accettarle, le notizie vanno fatte passare nei crivelli dalla trama sottile perche tra i semi che daranno pane non si mischi anche l’oglio. Ascolteremo con sano sospetto  l’impettito informatore ufficiale, mentre la nostra fiducia andrà alle parole titubanti ancora radicate nelle cose che possiamo vedere e toccare noi stessi, agli interessi che aiutano a nutrire il corpo e alle opinioni che tengono in esercizio la mente e aiutano a farci vedere una questione da tutti i lati. Infatti, si ascolta  non per assorbire le verità degli altri, bensì per opporre opinione a opinioni e, nella lotta, dare a tutte la possibilità di irrobustirsi le ossa.
Per comunicare nella nuova città non è necessario vivere e lavorare gomito a gomito e parlare di cose sotto gli occhi di tutti. Gli interessi si allargano in proporzione  ai mezzi di comunicazione disponibili, alle nuove intraprese umane. La piazza elettronica non è limitata dalle architetture dei palazzi   e dai portici, bensì soltanto dalla coscienza dei propri reali interessi e dalla capacità di dare loro una forma che non rifugge dal confronto con le idee degli altri. Arte sottile questa del confronto, e anche faticosa perché dove non cediamo alle lusinghe di chi  dice di essere dalla nostra parte, anzi, di conoscere quello che siamo e vogliamo meglio di quanto sappiamo fare noi stessi, resta soltanto la fatica di separarci da errori nei quali pure ci riconosciamo.
Nel confronto con questa rete di opinioni sorte dalla vita di ciascuno di noi, dai nostri interessi,  con quelle diffuse coi mezzi più potenti, si riconoscono le trame del nuovo potere, la sua tendenza a  non  chiedere il nostro consenso ma a farci credere di conoscere lui il nostro vero pensiero. Esso, padrone dei mezzi di informazione e intrattenimento, esso veramente non vuole il nostro silenzio, ma lavora per fare delle nostre parole la veridica testimonianza del suo potere di condizionarci.
Per ulteriori approfondimenti: www.umanesimopopolare.org
(Settembre 2012)
DEMOCRAZIA DIRETTA:Per saperne di più
1:N.Bobbio:Il futuro della democrazia, 1984, Einaudi
2:Y.Renouard:Le città italiane dal X al XIV secolo,Vol.1 e 2, 1975, Rizzoli
3:Piero Calamandrei:Lo stato siamo noi, Chiarelettere,2011
4:Thomas Benedikter: Democrazia diretta. Più potere ai cittadini, Sonda Edizioni,2008
5:Carlo Cattaneo:La città considerata come principio ideale delle istorie italiane
6:G.C. Rousseau: Il contratto sociale, Ed. Laterza,1997