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FORMICHE, CICALE E GRILLI: Esiste una via elettronica per la democrazia?

Le formiche, che in fila indiana trascinano il loro peso verso il formicaio, sono silenti. Difficile sentirle protestare, occupate come sono dalla strada da seguire e ad evitare i predatori di tutte le specie sempre in agguato e pronti ad appropriarsi delle fatiche degli altri. Il loro motto è lo stesso di quello adottato dagli sgobboni di scarsa fantasia:”tacere e lavorare” o dai sistemi di governo che pensano a tutto e vogliono evitare ai sudditi la fatica di usare la propria testa. Sono coscienziose e giudiziose, le formiche, e occorre aspettare la sera  perché smettano di lavorare e si preparino per la cena, proprio come fanno molti degli umani.  Ma da questo punto di vista le formiche debbono ritenersi più fortunate degli umani perché i pezzi grossi del formicaio non possono ingurgitare cibo oltre una frazione  del loro peso, per cui  soltanto per la garanzia costituzionale di questa legge di natura le formiche operaie non vanno a letto senza cena. Nella loro semplicità di esseri che vivono a contatto con la terra, trovano naturale persino le catene dalle quali però non traggono materia per sparlare tutte le volte che,muso contro muso, hanno occasione d’incontrarsi ma, ignare di metafore e della retorica da piazza o televisiva, sulle quali si sono costruite e si costruiscono delle vere fortune. Abituate a chiamare pane il pane e  il sudore della loro fronte sudore, non si sognano nemmeno di considerarlo come una punizione inflitta ai figli per i peccati commessi dai più lontani genitori o il segno distintivo di una nobiltà nuova, riservata proprio al popolo lavoratore.

Invece, per le cicale appostate tra i rami delle querce, degli ulivi, dei cipressi(che sono alberi non certi messi per rallegrare i luoghi dei morti) e persino sulle margherite, fiori dei campi, nonché sui rami di altri vegetali della selva italica, le cose vanno diversamente. Spargono il canto sotto il cielo azzurro convinte che niente possa succedere senza un loro commento. E infatti commentano, senza trascurare di  aggiungere che soltanto esse conoscono i reali bisogni delle silenti formiche e sanno rappresentarle nelle istanze costituzionali.  Chi si trova in alto non solo può risparmiarsi le molte fatiche di chi si trova invece a livello del suolo ma può far credere che nel migliore dei mondi possibili le formiche sono state create per lavorare e le cicale per informare, educare, rappresentare e cantare. Così va oggi il mondo e, temiamo continuerà ad andare nel futuro.

L’errore delle formiche non consiste tanto nel lavorare e di chiamare le cose col loro nome, come non può evitare di fare chi lavora per il quale l’azione transita sempre dal soggetto all’oggetto, quanto di ignorare la libertà di manovra nei confronti delle  parole da parte  delle cicale che si guardano bene dal mettersi  a lavorare e, ricche dell’antica arte di chi sa congegnare frasi simili al vero, fanno sempre transitare l’azione sulle spalle dei sottoposti mentre ne dirottano i frutti nelle loro tasche.

Ecco perché è tempo per le formiche di alzare la testa e,invece di lasciarsi cullare dalla musica suadente delle cicale e degli altri parassiti appostati sui rami del bosco, o imprecare  contro il destino cinico e baro, cominciare ad apprendere come snidarli dalle loro comode postazioni senza dover incendiare il bosco e se stesse.

Una via garantita dal successo passato esiste ed è quella che insegna a vedere. dietro gli orpelli del potere, se non di “che lagrime grondi e di che sangue” la sua propensione ai più prosaici abusi, all’ingordigia dell’altrui alla quale non sa resistere, alle menzogne ad essa funzionali, i giochi di parole,e emissioni e le amplificazioni così utili per annebbiare i cervelli degli elettori. Ma siccome una via come questa richiede  tempo e fatiche, nonché letture assai diverse da quelle che sono nelle corde delle formiche, ne resta un’altra più alla loro portata, perchè in fondo si può essere formiche e silenti quanto si vuole,  ma occorre pur usare parole per comunicare e vivere in armonia con gli altri abitanti del formicaio. Da qui per le formiche l’utilità di conoscere come nascono le parole, le quali possono nascere dalle cose e venire al mondo animate da spirito di verità, ma possono anche, animate da intenti che soltanto l’orecchio esperto sa riconoscere,  mettere al posto delle cose la  loro ombra e anche qualcosa di meno denso dell’ombra. Arte nuova che solleva dai luoghi chiusi e spesso silenti in cui si svolge la vita privata alle regioni asciutte della vita pubblica, dove ogni pensiero, anche il più tortuoso, diventato di dominio generale,  può venir giudicato senza che ne riceva torto perché, dove i giudizi si incontrano e confondono le loro acque, i torti di molti si compensano, o almeno si attenuano, per far emergere qualcosa di analogo al vero, quel vero che è medicina per l’anima e suo tonico. Nella libera piazza, dove le libere opinioni hanno accesso e dal confronto emerge quella in grado di esprimerle tutte,  poco spazio resta tanto alle unilateralità delle affermazioni più sicure di sé del padrone della borsa, come alle parole  plastificate del demagogo al suo servizio,  tutte precipitate al rango di opinione che debbono lottare per l’esistenza.

L’arte di farsi sentire pur restando attaccati alla terra e alle cose, dai loro orizzonti all’apparenza ristretti, non è delle formiche né delle cicale. E’ piuttosto arte da grilli che dal loro buco, estro permettendo, non smettono di far sentire una voce che oggi, nell’epoca della comunicazione totale,può giungere alle orecchie di altri grilli e diventare, da opinione personale quale era in partenza, fatto pubblico, a scorno dei gazzettieri e altri fabbricanti dell’opinione pubblica.

Si sottovaluta la portata di questa attività grillesca pensando che sia una conseguenza del mezzo di cui occasionalmente ci si serve. Il suo orientamento generale soltanto in apparenza è lo sfogo di sentimenti repressi, dell’impotenza a cambiare il corso delle cose, soprattutto quando corrono a suo danno. Costretto a prendere forma dal mezzo, lo sfogo  diventa presto opinione. Organizzato, eliminando le inevitabili stonature, può contribuire alla formazione di una coscienza indipendente dai mezzi manovrati dal capitale in veste di informatore ed educatore, una coscienza ritagliata sulle esigenze personali e, proprio per questo,  più sicuramente generale e pubblica.

 

Settembre 2012

 

 

 

 

 

CHE COS’E’ LA PARTITOCRAZIA(Ernesto Rossi sulla partitocrazia)

Appena usciti dalla dittatura e dalla guerra mondiale, ristabilita la così detta democrazia parlamentare, dalle pagine del Mondo Ernesto Rossi(1897-1967) si prova a mettere a nudo dinanzi agli occhi degli italiani la natura dei partiti di massa appena ricostituiti e la loro logica immanente. Spirito realista, immune da intenti  denigratori nei confronti dell’dea democratica,  apparsa così seducente nei cupi anni della dittatura, il suo scopo era prima la diagnosi del male e, successivamente, di sentire i rimedi a processi degenerativi che sembravano svuotare di contenuti un’idea per la quale molte persone si erano battute ed erano morte.

“Il suffragio universale e la rappresentanza proporzionale – che hanno costretto i partiti ad estendere la propaganda tra tutti i ceti sociali -, il progresso della tecnica di propaganda – con la quale si riesce a convincere gli elettori a votare  per certe liste e per certi candidati con gli stessi costosi sistemi con i quali si persuade la gente a comprare i dentifrici -, la sempre maggiori difficoltà a trovare persone che lavorino gratuitamente per realizzare un programma politico, hanno fatto enormemente   aumentare, durante l’ultimo cinquantennio, le spese dei partiti politici.

Per far funzionare la <macchina> di un partito di massa oggi occorre gettare sotto la sua caldaia quattrini a palate:alcuni miliardi vanno ogni ano per l’organizzazione e le attività ordinarie( sedi della direzione centrale, delle federazioni provinciali, delle sezioni comunali e dei quartieri; stipendi a molte centinaia d funzionari; rimborsi delle spese di viaggio e di soggiorno per convegni internazionali e riunioni della direzione, del comitato centrale e di tutti gli altri comitati; manifestazioni pubbliche, film,posta, automobili dei dirigenti; manifesti murali;assistenza legale,ecc.),mentre altri miliardi vengono spesi saltuariamente per le campagne elettorali, per coprire i disavanzi dei giornali politici, per i congressi, per i contributi straordinari per le associazioni parapartitiche,ecc.”(Il <combustibile> dei partiti,in: Ernesto Rossi:Contro l’industria dei partiti, 20 ottobre 1963, in: Chiare lettere, 20012, p. 83-4).

Rossi vedeva l’inizio dell’epoca classica della partitocrazia, quella che va dalla fine del secondo conflitto mondiale, il 1945, e la caduta del muro di Berlino(1989), l’epoca della guerra fredda e dei blocchi ideologici contrapposti, caratterizzata dalla competizione per attrarre consensi condotta senza esclusione di colpi guerra e al limite della guerra civile strisciante. Tuttavia, le sue considerazione si rivelano valide in ogni circostanza data l’importanza della posta politica in gioco in ogni turno elettorali: la direzione degli affari pubblici e la gestione dei relativi bilanci in cui sono maneggiate somme enormi di denaro, la possibilità di favorire con leggi, decreti, la rivelazione di notizie riservate ad amici e finanziatori.

Da qui la relativa facilità con la quale si può rispondere alla domanda:da dove vengono tutti i quattrini spesi dai partiti?

“Il bisogno di quattrini, il bisogno di sempre più quattrini da buttare a palate sotto la caldaia della macchina, è uno dei principali fattori che determinano l’atteggiamento pratico dei partiti davanti ai maggiori problemi che hanno comunque un riflesso sulla vita economica del paese. Gli amministratori dei partiti non possono trovare le decine e le centinaia di milioni, necessari alla macchina, nel portafogli dei <tifosi> che delirano di entusiasmo ai discorsi dei propagandisti nei comizi politici; li trovano nelle casse delle organizzazioni padronali di categoria, nei conti correnti in banca dei grandi industriali e  dei grandi proprietari terrieri e nelle percentuali sugli affari, più o meno sporchi, resi possibili dagli interventi statali”(Le serve padrone, Il Mondo,24 giugno 1950, in ibidem, p. 9).

Qual è l’origine di tanti slanci di solidarietà dei danarosi padroni nei confronti dei bisognosi partiti di massa? Sono essi stati colpiti da improvvisi attacchi di generosità per le sorti della massa o per l’ideale? Niente di tutto questo.

“I grandi finanziatori dei partiti non danno i quattrini per motivi altruistici;li danno per avere la difesa dei loro interessi, e per ottenere favori e privilegi che compensino le somme sborsate, considerando nel costo di questi investimenti anche un’altissima quota per i rischi relativi a tutte le operazioni del genere…Ogni partito al governo dispone di cariche, incarichi, enti da gestire o da controllare con i propri uomini, e quindi è logico e naturale che costoro,  dovendo al partito da cui provengono la nomina, dirigano e amministrino con i criteri loro imposti o suggeriti”(ibidem,pp.9-10).

In altre parole, accade quello che è accaduto da che mondo e mondo:i pifferai suonano la musica comandata da chi sborsa i dobloni o i talleri, e buon per loro se viene trovata di gradimento dal vasto pubblico perché, nel sistema proporzionale, più voti significa più potere e quindi più posizioni di comando da occupare per compensare i finanziatori ben nascosti nell’ombra.   In quanto alla musica suonata, è quella che si è soliti ascoltare nelle pubbliche piazze, dove si accampano gli imbonitori dei rimedi miracolosi, i venditori della mercanzia più variopinta.

E questo non senza una logica necessità perché nelle condizioni sociali del mondo moderno non si va nelle pubbliche piazze per scambiare e ragionare ma  per farsi intrattenere dall’illusionista di turno, la cui lingua spericolata e senza i ritegni di chi dovrà poi rispondere di se stesso,  è abile nell’unire quanto la logica delle cose  tiene distinto e separa quanto invece deve restare unito. Infatti, esperti come sono nel disegnare seducenti scenari con le parole, sanno pure il fatto loro quando si tratta di tenerle separate dai fatti che invece dovrebbero garantirne l’autenticità, per accoppiarli con altri creati ad arte, o immaginari come le parole, ma con le quali sembrano andare d’amore e d’accordo, secondo l’arte sublime del conduttore di popoli, del demagogo che nelle democrazie trova le condizioni migliori per far fortuna.

Pazienza se tutto questo si riducesse alla fine soltanto in una perdita erariale, nel passaggio del denaro dalle tasche del contribuente alla cassa pubblica e da questa nelle tasche degli amministratori e finanziatori dei partiti, un travaso che ubbidisce alla legge di natura secondo la quale il denaro è attratto da altro denaro. Perché per favorire i finanziatori, i partiti debbono tener lontano dai posti strategici che decidono e controllano la spesa degli enti pubblici, le persone capaci ed oneste, i così detti servitori dello stato, difficili da convincere ad abbandonare gli obiettivi  criteri di gestione. Essi difficilmente si piegherebbero alle direttive dei maneggioni di partito  a vantaggio degli arrivisti più spregiudicati, sempre pronti a ubbidire a coloro ai quali debbono il posto. Conoscitori delle leggi quanto basta per eluderle senza subirne le conseguenze, sanno come muoversi nella giungla dei bilanci degli enti amministrati per creare fondi a favore dei partiti di riferimento.

“Nessuno potrà mai stabilire quanti miliardi della ricchezza nazionale sono così distrutti per ogni centinaio di milioni che entra nelle tasche degli affaristi politicanti quale compenso per ogni milione che i medesimi signori versano nelle casse dei partiti.

…Il male forse più grave è che molti degli espedienti usati dagli uomini politici per finanziare i partiti non possono essere messi in pratica senza la connivenza dei funzionai preposti ai più importanti servizi pubblici. E, una volta che abbiano aiutato gli uomini politici a tali pratiche camorristiche, i più alti papaveri della burocrazia romana diventano intoccabili. Anche se non hanno voglia di lavorare, anche se sono completamente inadatti ai loro compiti, anche se rubano a man salva, non possono più esser rimossi. Le loro malefatte sono tutte perdonate per timore che vengano altrimenti scoperti dei pericolosi altarini”(Una malattia segreta,Il Mondo 30 agosto 1952, in ibidem,p.42).

Così Ernesto Rossi. Ma se dai primi anni ’50, quando i partiti ancora strutturati, organizzati nella logica delle grandi divisioni di interessi  del mondo sociale e delle idee che li rappresentavano,  seguivano nel procacciarsi denaro  un metodo dotato di una sua perversa giustificazione, veniamo ai nostri giorni, i giorni dei partiti personali senza metodo e senza organizzazione,dobbiamo ammettere che le cose non sono affatto cambiate e anzi sono peggiorate e non soltanto sul piano della logica politica. Ora le cricche che tengono in pugno i partiti si risparmiamo persino di sbandierare gli ideali di una volta, ma si limitano ad accusarsi reciprocamente di tutti i misfatti mentre nell’ombra continuano a spartirsi le spoglie del paese. Con quali risultati il benevolo lettore scoprire nelle pagine del nostro Notiziario sulla partitocrazia.

Novembre 2012

DEMOCRAZIA E CONTROLLI(I sogni finiscono al risveglio)

  Per prendere i pesci, non basta armarsi di amo, dall’aspetto troppo minaccioso per attirare qualcuno degli abitanti del vasto mare. Occorre invece coprire la sua punta di esca, meglio se commestibile e fresca, consiglio inutile se rivolto agli uomini dei partiti perché lo mettono in pratica da sé quando vogliono catturare i pesci. Da qui l’aria di imbonitori da fiera che hanno i nostri politici quando appaiono dinanzi al popolo sovrano, la capacità di dire esattamente quello che il vasto pubblico desidera ascoltare, di far sognare con abili combinazioni di parole(dai,facci sognare! è il pensiero trasmesso dai volti assonnati in attesa dinanzi agli schermi televisivi o ai palchi all’aperto dove si usa spendere parte del tempo durante le serate estive), con la prospettiva di benefici che discenderebbero sul cittadino elettore una volta instaurato il regno della giustizia e del progresso sociale, naturalmente logica conseguenza della conquista del potere ad opera del nostro partito e della condanna all’ignominia e all’astinenza dell’opposizione di quello avversario, ignobile fautore dell’ingiustizia e del regresso. Così, a furia di assicurazione sul nuovo ordine prossimo venturo, quello che avrebbe risolto in maniera definitiva tutti i problemi del passato e persino impedito il ripresentarsi di quelli nuovi nel futuro, ci ritroviamo senza la minima ombra di progresso, a meno che non si voglia chiamar tale un debito pubblico che non smette di crescere e il peso fiscale più alto del mondo che si aggiunge al debito senza alleviarlo e  gravante sulle spalle del cittadino elettore  che non può ricoverare i suoi guadagni in qualche paradiso fiscale, frequentati viceversa da quanti sono qualificati come  benefattori del popolo dai giornali di loro proprietà o comproprietà, poco importa.
  Questi inconvenienti  non fanno che aumentare gli sforzi dei politici per trovare dei sostituti delle vecchie idee di progresso, nonché nuovi nemici da identificare come i responsabili del regresso sotto gli occhi di tutti, ai quali attribuire pure, a beneficio di chi non regredisce,  le colpe del degrado morale fatalmente in agguato, vale a dire il partito diverso dal nostro. Insomma, siamo sempre nel regno delle favole raccontate ai bambini ansiosi di crederci, della buone fatine e degli orchi malvagi, del mondo migliore da conquistare con energiche marce in avanti, nonostante tanta gente si ostini a volersene restare laicamente seduti per pensare ai fatti propri e chiacchierare di questo e di quello.
  C’è da chiedersi da dove viene questa secolare propensione della nostra gente a dare ascolto alle favole più disarmanti e perciò più popolari, a bere come oro colato le parole degli imbonitori di piazza, i dispensatori di aggettivi trasformati in sostantivi ma senza altra sostanza che non sia quella del loro suono. Perché non si sviluppa e diventa popolare il rispetto dei fatti, la tendenza a saggiare sulla loro ruvida scorza le parole prima di metterle in circolazione per provare la regolarità del loro conio? Perché si continua a sognare al suono delle parole, ad accendersi di indignazione alla retorica dei comizi, invece di guardare i risultati delle promesse, cercare di  scoprire  se il loro metabolismo è regolare, se non ingurgitano troppo cibo in relazione alla magrezza dei risultati.
  Si dirà che in un paese dove sono fioriti il sonetto e il melodramma non è facile sottovalutare la retorica. Inoltre, le occupazioni straniere vi hanno avuto come conseguenza anche la crescita dell’importanza delle parole come sostitute di fatti, vietati da polizie, eserciti di occupazione e preti. Ma qui non è questione di facilità, bensì di sopravvivenza, perché le parole liberate dall’obbligo di corrispondere ai fatti diventano disponibili a tutte le manovre a nostro danno. Infatti, le parole in libertà, fuori del controllo empirico, sono destinate prima o poi a mettere fuori controllo le teste, che è quanto vogliono i gestori del potere per continuare a gestire come a loro meglio piace il bilancio.
  Perciò, soltanto una prolungata assuefazione all’inganno può far credere ai più che la democrazia sia una questione di parole, eventualmente accompagnate con bandiere al vento, sfilate nelle pubbliche strade e assembramenti nelle piazze principali di paesi e città. Se il suono carezzevole delle parole promette all’affaticato e al depresso giorni migliori e persino euforici, lo stesso fanno i narcotici, propinati a giovani e adulti, lavoratori e disoccupati. Visto dai disagi dell’oggi, il domani è sempre un giorno migliore e i propagandisti di partito appartengono alla classe delle mosche astute, capaci di far credere che il carro si muove per merito loro e non dei buoi legati alle stanghe. Tuttavia, per l’uomo di partito, se non finisce in carcere, il domani sarà senz’altro migliore di oggi perché quello sarà il tempo in cui potrà raccogliere il frutto dalla trama tessuta oggi. Questo vuol dire che la democrazia è il regno dove il falso ha libera circolazione? Non lo crediamo, o almeno non è più libero che sotto altri regimi. Vogliamo invece dire che soltanto nella democrazia il falso può venire scoperto è denunciato senza corrore il pericolo dell’arresto in flagranza di reato. Essa ha soprattutto bisogno di controlli dal basso, da chi ne paga le spese, non di propagandisti dei partiti il cui scopo è sempre il potere e la sua gestione, soprattutto il suo simbolo visibile, il denaro. La democrazia ha quindi le sue vittime e i suoi beneficiari, è oggi le prime stanno per diventare maggioranza. Questo apre a nuove possibilità, crea un bisogno di informazione e partecipazione sconosciuta nel passato, quando la promessa di partecipare alle spartizioni bastava per crearsi negli elettori una provvisoria platea di complici interessati. Senza un efficace sistema di controllo fatto di informazioni e azione, il potere diventa inevitabilmente abuso e la democrazia degenera nel governo dei partiti a proprio vantaggio, in partitocrazia.
  Il controllo degli abusi di potere è scritto sulla bandiera del liberalismo sin dal suo sorgere, quando la società civile doveva confrontarsi con una tradizione di abusi materializzata nel potere autocratico del monarca (G.De Ruggiero:Storia del liberalismo europeo,Bari).La rivoluzione costituzionale inglese aveva come programma di sottrarre al re la facoltà di imporre tasse  e spendere il denaro pubblico senza rispondere a nessuno. Ma perché il contribuente arrivasse a controllare la tassazione e la spesa pubblica, la testa di un re è dovuta cadere per sancire un principio nuovo: l’uomo comune non è più disposto a restare suddito. Una rivoluzione si è compiuta,  certo con i colori meno rutilanti delle tante rivoluzioni agitate nel nostro paese nel recente passato e invece di discorsi accesi si alimentava di freddi calcoli,  di prese di posizione sostenute dalla volontà di proteggere la borsa dall’agente delle tasse e dal birro che gli veniva dietro. Informazioni controllabili e  freddi calcoli piuttosto che le frasi accese ci sembrano però  l’unica soluzione dei mali di un paese dove la malafede si copre spesso di unzione e la volontà di prevaricazione in concessione a una sciatteria coltivata con arte per dividere le colpe e distogliere così lo sguardo dai veri responsabili.

 

Maggio 2013